Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Corvo della chiesa in laguna, ci sono due indagati

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Uno è E.D.G., 75 anni, di cui sarebbe nota la frequentaz­ione con don Massimilia­no d’Antiga, a sua volta finito nella bufera dopo essere stato «cacciato» dal patriarca dalla parrocchia di San Salvador tra le proteste dei suoi fedeli. In una occasione i carabinier­i di Venezia, a cui è stata affidata l’inchiesta coordinata dal pm Massimo Michelozzi sotto la supervisio­ne del procurator­e capo Bruno Cherchi, l’avrebbero visto uscire (e subito dopo fermato) dall’abitazione dell’uomo, che ha casa anche a Venezia. L’altro è il 54enne G.B., che secondo la ricostruzi­one degli inquirenti sarebbe comunque colui che ha materialme­nte stampato i volantini. L’inchiesta era nata da un esposto del Patriarcat­o a cui si era aggiunto quello di Alessandro Tamborini (in contrasto con l’operato di D’Antiga), che si era sentito offeso. fronti di chi non lo avrebbe mai potuto attraversa­re con le proprie gambe. Ma fin da subito erano emersi enormi problemi: troppo piccola, caldissima d’estate, malfunzion­amenti tecnici insuperabi­li, che nelle poche corse fatte nei primi mesi di vita da uno stop e l’altro, avevano «intrappola­to» dentro perfino un assessore. «Doveva essere un progetto ambizioso per risolvere un problema importante, ovvero la mobilità per i diversamen­te abili - afferma Zaccariott­o - Noi in questi anni abbiamo affrontato a largo raggio il problema delle barriere architetto­niche e il nuovo piano prevedeva appunto la rimozione dell’ovovia e la gratuità dei vaporetti da piazzale Roma alla stazione per chi ha difficoltà motorie».

Resta aperto il futuro dell’opera. Il direttore del Corriere del Veneto aveva lanciato la provocazio­ne che forse sarebbe stato meglio tenerla lì, come «totem dello spreco». La stessa proposta l’aveva lanciata un anno fa la Federazion­e italiana per il superament­o degli handicap, che per prima aveva aperto il dibattito su un ponte così simbolico ma inaccessib­ile ai disabili: il problema è che, come si dice a Venezia, «el tacòn» è stato peggio del «buso». «L’ovovia resti quale monito all’esclusione, quale modello negativo di ciò che non bisogna fare», aveva suggerito la Fish. «Non sono d’accordo, è stata un fallimento tecnico ed economico e andava rimossa», replica Zaccariott­o. Pare che qualcuno si fosse fatto avanti per chiederla, qualcuno aveva detto che si sarebbe potuta esporre in terraferma, a Forte Marghera, qualcuno aveva ipotizzato la Biennale. «Mi sembrerebb­e un’ulteriore perdita di tempo e di denaro, visto che hanno già sprecato tanto - commenta Francesco Bonami, critico d’arte ed ex curatore della Biennale - Mi sento di dire che la sfortuna di quest’opera è stato quasi un modo con cui Venezia ha tentato di resistere alla contempora­neità».

La butta invece in burla Matteo Secchi, che con gli amici di «Venessia.com» nel 2013 manifestò in sci e scarponi contro l’ovovia. «Siamo molto tristi, perché si infrange un sogno - sottolinea - non potremo più partecipar­e alle Olimpiadi invernali, non abbiamo più strutture adeguate». Poi, però, Secchi si fa serio: «L’ovovia era uno scandalo, costata un mucchio di soldi senza mai essere servita a nulla. I diversamen­te abili non l’hanno mai usata». Da ieri quella sfera rossa, diventata ricettacol­o di adesivi di tutti i tipi, ha preso il volo.

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