Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
L’ospedale del Qatar? Solo una tenda vuota
Finito da due settimane mancano letti e macchine Pazienti ricoverati: zero
PADOVA Chissà, magari aveva ragione il direttore generale dell’Usl di Padova Domenico Scibetta, quando sosteneva che il grande ospedale mobile donato dal Qatar alla Regione Veneto avrebbe «spaventato» il Covid-19 «un po’ come fanno gli spaventapasseri con gli uccelli sui campi». Di sicuro non è servito a molto di più: nonostante sia arrivato un mese e mezzo fa e il montaggio a Schiavonia sia finito da due settimane (ma finito, come vedremo, non è proprio la parola giusta), ad oggi non solo non ospita e non ha ospitato alcun paziente, ma non è neppure dotato dei letti, dei macchinari, degli arredi. Non c’è manco il pavimento. Insomma, è vuoto.
Ora, di sicuro si tratta di un caso diverso rispetto a quello dell’ospedale alla Fiera di Milano, su cui indagano la guardia di finanza e la procura meneghina, perché lì sono stati spesi soldi pubblici (e non pochi: 21 milioni di euro per 25 pazienti), mentre qui si parla di un regalo a costo zero per le casse di Palazzo Balbi, e però la delusione resta forte per quello che fu magnificato come uno splendido esempio di cooperazione internazionale ed alla fine si è rivelato una cattedrale nel deserto. Al punto che lo stesso governatore Luca Zaia, che pure un mese fa annunciava l’imminente apertura del «luxury hospital» ringraziando Tamim bin Hamad Al Thani per la sua generosità, ieri ha allargato le braccia: «Non voglio far polemica, però il Qatar ci aveva promesso un ospedale “chiavi in mano”, con dentro tutte le attrezzature, mentre oggi ci ritroviamo con un tendone di 5 mila metri quadrati vuoto, di cui onestamente non sappiamo che farcene. Non ho alcun dubbio che l’Emirato onorerà i suoi impegni fino in fondo, e d’altra parte i 23 ingegneri venuti qui dal Golfo si sono sempre mostrati disponibilissimi, però ho il dovere di spiegare ai veneti, con trasparenza, qual è la situazione in questo momento».
Tutto è utile, per carità, ma a questo punto a che serviranno i letti promessi - se mai arriveranno - posto che le curve del contagio sono fortunatamente in calo e nelle terapie intensive di Padova e di Schiavonia si contano rispettivamente 0 e 1 ricoverato? L’idea della Regione, spesso ribadita (col senno di poi con invidiabile lungimiranza) dall’assessore alla Protezione civile Gianpaolo Bottacin, è quella di lasciare tutto lì almeno fino ottobre, nella speranza che per allora arrivi dal Medio Oriente il materiale mancante e con la preoccupazione che in autunno possa investirci una seconda ondata epidemica. E d’altra parte suonerebbe come una beffa atroce smontare la struttura appena completata senza averla mai utilizzata, specie per i volontari che per settimane si sono dati da fare mettendo perfino a punto il «libretto d’istruzioni», che mancava: parliamo di squadre di 50-80 persone, tra protezione civile e 3° stormo dell’aeronautica, al lavoro ogni giorno. Non solo: il rischio è di tramutare il dono in un problema, dal momento che l’ospedale da campo, una volta smontato, da qualche parte dev’essere «stoccato» e non basterà un normale deposito, visto che per portarlo fin qui ci sono voluti cinque Boeing C-17, velivoli che di solito trasportano carri armati.
Come finirà? Dipende dall’emiro e dalla sua munificenza, perché lo sforzo economico ancora richiesto non è indifferente e la Regione non intende sborsare un euro: il progetto prevede che nel corpo centrale, 3.200 metri quadri, siano allestiti 120-130 posti letto di Pronto soccorso e ricovero, oltre agli ambulatori, mentre nelle due ali laterali dovrebbero essere creati 24 posti di terapia intensiva con «celle di biocontenimento» (12 più 12) del costo di 70 mila euro ciascuna.
E quello di Schiavonia non è l’unico ospedale donato dal Qatar: ce n’è un secondo, come spiegò il ministro degli Esteri Luigi Di Maio accogliendo i Boeing in aeroporto, in Basilicata. Dove per giorni si sono trascinate polemiche furibonde per via dei «ritardi notevoli» con cui si stava procedendo al montaggio. «Mica come in Veneto - sbottavano i lucani arrabbiati - lì è già tutto pronto».