Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Il Piano atteso: dalla terza corsia alle nuove arterie Il nodo Cispadana
La società e le ricadute
Concessione sì, concessione no. La prima, quella che prevedeva la costruzione, è scaduta nel 2005. Da allora, quando si parla di Autostrada del Brennero, si discute anche delle convenzioni successive, delle proroghe, delle ipotesi di gara e della nuova concessione, talvolta entrando in tecnicismi giuridici, piuttosto difficili da cogliere. A questo punto, una domanda sorge spontanea: questa concessione autostradale è davvero così importante? E ancora: al cittadino medio cambia qualcosa se il prossimo concessionario sarà ancora una società espressione degli Enti pubblici locali, dello Stato, o una multinazionale qualsiasi? In fondo, nessuno chiuderà mai la A22. Eppure, se si analizzano i dati economici e gli scenari futuri, si può facilmente capire perché quella di Autobrennero sia una delle partite più delicate e importanti che si trovano in questo momento a giocare gli amministratori pubblici dei territori che vanno da Bolzano a Modena.
L’impatto economico
Il primo dato cui ci si imbatte analizzando Autobrennero è quanto vale in termini di fatturato: nel 2019, i ricavi sono stati di 403,1 milioni di euro (quasi 500 milioni il Gruppo). Dove vanno a finire tutti questi soldi raccolti principalmente con i pedaggi? Pagato il canone allo Stato, circa 50 milioni, quei soldi restano per lo più sui territori come pagamento per forniture di beni e servizi (68 milioni lo stanziamento per il 2020 in manutenzioni ordinarie e straordinarie, oltre 200mila euro a chilometro), costo del personale, imposte (circa 30 milioni l’anno), che per effetto della loro Autonomia restano in buona parte ad alimentare le entrate di Trento e Bolzano. E gli utili? Negli ultimi sei anni sono oscillati tra i 70 e gli 80 milioni di euro, più della metà sono stati reinvestiti nella società, ma 275 milioni circa sono stati distribuiti ai soci che, all’85%, sono gli Enti pubblici locali che vanno da Bolzano a Modena. L’ultima distribuzione, da 35,2 milioni su 87,1 di utile, è stata fatta a giugno 2020. Ma A22 è anche un buon datore di lavoro: mille i suoi dipendenti. È stato stimato che l’impatto indiretto sui territori attraversati dall’A22, inteso come valore di produzione, si aggiri sui 750 milioni di euro con oltre tremila posti di lavoro generati.
L’attrattività
La presenza della principale infrastruttura di collegamento all’Europa rappresenta un elemento di attrattività per gli investimenti delle imprese sui territori attraversati dalla A22. Solo per fare qualche esempio: a luglio 2019 Alfa Laval (azienda svedese specializzata nella componentistica meccanica per industrie pesanti) ha annunciato un investimento da 20 milioni a San Bonifacio dove realizzerà un’area produttiva da 16mila metri quadrati in cui lavoreranno 250 operai e 150 impiegati. Produrrà scambiatori e pompe di calore. Sempre nel luglio 2019, Coca Cola ha inaugurato nello stabilimento di Nogara una nuova linea produttiva per bevande non gasate. Investimento da 30 milioni: 100 i milioni investiti negli ultimi anni. Si tratta dell’unico sito italiano di Coca Cola che esporta. Zalando (colosso tedesco delle vendite online) nel 2017 ha scelto Nogarole Rocca, per il suo nuovo hub da 150 milioni e 130mila metri quadri, per mille dipendenti. Quanto al turismo, basta pensare a quella ventina di giorni l’anno in cui la A22 appare come un unico serpente di auto, camper e roulotte per avere il senso della sua centralità.
Gli investimenti
Fin qui, in sintesi, quanto vale la A22 in questi anni di relativa stagnazione degli investimenti dettata dai dubbi sul futuro della concessione. La nuova concessione, però, porta in dote una mole di investimenti che supera i 7 miliardi di euro. Per dare un metro di paragone, poco meno di quanto costerà complessivamente il tunnel del Brennero, il progetto infra
strutturale che si è aggiudicato l’importo maggiore mai sovvenzionato in Europa dalla Ue. Il Piano economico finanziario già approvato al Cipe vale 4,1 miliardi di euro. Dentro c’è ci sono investimenti come la terza corsia reale da Verona a Modena (743 milioni), la terza dinamica da Bolzano a Verona (1.035 milioni) — che prevede anche opere come lo spostamento della tangenziale di Trento — l’ammodernamento di tutta la rete (dalle nuove barriere antirumore alla digitalizzazione dell’infrastruttura), nuovi caselli (Vigasio e Villafranca), il rifacimento dell’innesto sull’A1 a Campogalliano, ma anche 800 milioni per la viabilità ordinaria salomonicamente divisi in «lotti» da 200 milioni per Alto Adige, Trentino e Veneto, 110 milioni per la Lombardia (Mantova) e 90 milioni per l’Emilia Romagna. Per fare cosa? Opere come l’attesa Mediana tra Bovolone e Isola della Scala in vista della nascita del nuovo hub intermodale, o la bretella di collegamento tra la tangenziale sud di Verona e l’aeroporto. La lista non si ferma al Pef. L’accordo di cooperazione, infatti prevede anche 250 milioni di «opere accessorie» come il porto di Valdaro a Mantova, funzionale a collegare A22 e la futura alta velocità ferroviaria all’Adriatico settentrionale, o il rilancio di Interbrennero a Trento. Fuori dal Pef, c’è poi il collegamento Campogalliano-Sassuolo (oltre 400 milioni), la Cispadana (1,3 miliardi), la Ferrara-Porto Garibaldi (circa 500 milioni). Centrale, anche per lo Stato, è che con la nuova concessione non solo si sbloccherebbe il «tesoretto» da oltre 700 milioni di euro che Autobrennero ha già accantonato per il tunnel del Brennero — il cui destino, in caso di concessione a terzi, sarebbe da discutere —, ma si aggiungerebbe oltre un miliardo di futuri accantonamenti, per un totale di quasi 1,8 miliardi di compartecipazione alla spesa del tunnel, circa il 70% della spesa sostenuta dall’Italia. Insomma, la bancabilità degli investimenti che la nuova concessione comporterebbe l’avvio di una stagione di investimenti nell’intero Nordest.
L’interesse a un ammodernamento del corridoio del Brennero non è solo locale, basti pensare che già oggi dal passo del Brennero transitano ogni anno circa 58 milioni di tonnellate di merci, pari al 10,5% di tutto l’import-export italiano nel mondo. Come si svilupperà questo corridoio nei prossimi trent’anni sarà determinato anche dalle scelte del futuro concessionario.