Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Alberto diventa Sabry: outing della stella del balletto
Una foto per ogni cambiamento: il poetico outing sui social dell’ex Trockadero veneto
VICENZA Quando è partita dal Veneto si chiamava Alberto e ballava con i Trockaderos. Ora è insegnante di danza a New York: l’outing sui social di Sabrina.
Due esistenze, un solo
VICENZA libro. Dove le pagine si legano con grazia e senza fratture di racconto. Quando è partito da Vicenza, anni fa, per diventare uno dei ballerini dei Trockadero si chiamava Alberto. Oggi, insegnante di danza a New York, si chiama Sabrina. Finalmente. Per lei, per chi le vuole bene, per chi, da fuori, ha assistito alla sua trans-formazione pudica, mai urlata, sintetizzata ora con un video sui social. Lì, senza rabbia di piazza e senza grida da gay pride, «Alby» Pretto, classe 1985, talento internazionale del balletto, ha spiegato la semplicità di una vita senza bugie: una gallery animata con la sequenza delle foto che hanno catturato la sua evoluzione, in questi anni. I capelli che crescevano, un rossetto messo fuori scena, una femminilità nei tratti di un nuovo sorriso che piano piano si allargava.
Se chiude gli occhi, che ricordi ha della sua terra?
«Palladio, le sue ville e il verde della pianura padana: le porto sempre dentro di me. E il cibo, ovviamente»
Lei è un’artista internazionale «migrata» all’estero...
«Una ballerina di danza classica che ha dovuto lasciare l’Italia per avere una carriera. Dopo il diploma all’Acadèmie de Danse Classique Princesse Grace a Montecarlo sono stata ingaggiata dall’English National Ballet di Londra. Poi c’è stato lo Stadt Theater Koblenz. All’epoca ballavo ancora nel corpo di ballo maschile, anche se ero molto infelice e mi sentivo come un pesce fuor d’acqua. Non sapevo bene perché, ma in fondo sentivo di dover cambiare qualcosa. Quindi ho cercato altrove. Volevo trovare una compagnia che rispecchiasse il mio sentire dentro. Così sono entrata a far parte de Les Ballets Trockadero de Montecarlo, una compagnia
en travesti. Era il compromesso perfetto per me al momento. Potevo danzare in tutù ruoli generalmente affidati alle danzatrici e girare il mondo».
Poi cosa è successo?
«Le cose hanno cominciato a cambiare verso il sesto anno. Per diverse ragioni: la maturità senza dubbio, l’esposizione a diverse culture e l’apertura mentale alla quale sono stata esposta a New York mi hanno portato a farmi delle domande riguardo alla mia identità di genere. Sempre di più sentivo il desiderio di esprimermi, di dare libero sfogo alla mia femminilità e nello stesso periodo ho cominciato a sviluppare sentimenti di disforia di genere. Sono venuta in contatto con persone trans,sono uscita dalla bolla di sapone che rappresentava la danza per me e mi sono accorta che la ragione per la quale non ero a mio agio nella mia pelle era perché non mi sentivo a mio agio nella definizione di omosessuale. Mi sono guardata dentro. Ho lasciato i Trockadero a fine 2019: non aveva più senso ballare per me in una compagnia di soli uomini».
Quando l’outing con la sua famiglia?
«Io ho fatto due coming out, essenzialmente diversi. Il primo a 16 anni, dove ho annunciato ai miei di essere gay. Il secondo più recentemente, in quanto transgender. L’estate scorsa tutta la mia famiglia e venuta a trovarmi a New York e mi ricordo che dovevo trovare un modo per rompere il ghiaccio e presentarmi come la loro nuova figlia. Quindi un giorno in cui dovevamo fare i turisti mi sono presentata truccata e vestita. Li ho messi di fronte alla mia nuova realtà.
È stato uno choc, ma penso sia stato un momento chiave sia per me che per loro. Il primo outing rispecchiava quello che sentivo al momento,e mi è andato bene per molti anni. Ma non era una cosa definitiva, e all’epoca non sapevo esprimermi diversamente». La reazione dei suoi?
«Ho una famiglia fantastica che mi ha sempre amata e appoggiata nelle scelte. Ovviamente questa non è stata una situazione facile né per loro né per me. All’inizio non ci capivamo, abbiamo dovuto parlare molto e lasciare che il tempo portasse consiglio».
La poesia con cui lei interviene sui social è poco comune...
«Mi ritengo molto fortunata di poter cambiare il corso della mia vita e di aver cominciato il mio percorso di transizione. Sono una persona positiva e sempre ben disposta riguardo agli altri. Questo non vuol dire che non mi sia successo di venire discriminata o che non ho sofferto. Spero di far capire alla gente che non tutte le donne trans sono uguali. Non siamo tutte delle prostitute o delle bambole di plastica. Siamo persone come tutti gli altri che cercano di trovare il loro spazio nella società e in quanto tali devono venire rispettate.
C’è qualcosa che la gente fatica a comprendere?
«La cosa che mi disturba maggiormente è la difficoltà nell’utilizzare i pronomi adatti. È palese nella lingua italiana usare il pronome maschile o femminile a seconda che l’interlocutore sia maschio o femmina. Ho assistito a situazioni dove la persona con cui parlavo si ostinava a usare pronomi maschili con me, anche dopo averla gentilmente corretta. Misgendering e una cosa molto comune che rispecchia nella persona che lo perpetua una grande ignoranza e mancanza di rispetto. Quando non si è sicuri di quale pronome usare, si dovrebbe semplicemente chiedere».