Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

«Abbiamo fatto più che a marzo e va peggio I divieti servono se la gente li rispetta»

Dagli ospedali sotto pressione ai contagi nelle Rsa il Veneto da modello a «osservato speciale»

- di Marco Bonet

Presidente Luca Zaia il Veneto deve diventare «zona rossa»?

«Non sta a me dirlo. Gli unici titolati ad esprimersi in questo senso sono i tecnici, che redigono i piani di sanità pubblica e se ne assumono la responsabi­lità. Il mio compito è dare operativit­à alle loro indicazion­i sul territorio. Se i tecnici ritengono che serva la zona rossa, lo dicano e la Regione agirà di conseguenz­a».

È una mancata assunzione di responsabi­lità?

«No e la storia della gestione del Covid da parte mia lo dimostra: dalla prima zona rossa a Vo’ all’ultima ordinanza prima di Natale, non mi sono mai tirato indietro. Il punto è che l’Istituto Superiore di Sanità ha avocato a sé l’attribuzio­ne delle fasce, in base a 21 parametri che ora si vorrebbero modificare. Attendiamo di conoscere le loro decisioni».

Tenere il Veneto in «fascia gialla» è stato un errore?

«Con un lockdown durissimo come quello di marzo, che tutti noi abbiamo voluto evitare di ripetere, forse la situazione ora sarebbe diversa, ma con la fascia “arancione” anziché “gialla” non sarebbe cambiato granché. Mi spiego: il Lazio è sempre stato “giallo” come il Veneto eppure lì la situazione è migliore che da noi; il Friuli Venezia Giulia è stato a lungo “arancione” eppure il quadro da loro resta impegnativ­o. Come lo spieghiamo?».

Il sistema ha fallito?

«Va sicurament­e aggiustato il tiro. Ad oggi in Veneto abbiamo patito due settimane di restrizion­i arancioni e rosse, dalla mia ordinanza del 19 dicembre al successivo decreto di Natale del governo. I contagi calano? No. E i ricoveri restano sostanzial­mente stabili perché le prese in carico dei pazienti continuano a ritmo sostenuto nonostante le dimissioni. E questo, attenzione, non accade solo in Italia: in Germania e Gran Bretagna, dove stanno applicando lockdown più duri dei nostri, i contagi crescono».

Questo spiega la frustrazio­ne di molte persone: se nonostante i divieti nulla cambia, a che servono?

«I divieti servono se vengono rispettati. Il nostro contact tracing ci porta sempre, alla fin fine, ad un pranzo, una cena, un aperitivo, un luogo di lavoro dove si era abbassata la guardia. Non ci si contagia mai per caso».

Insomma, scienza e politica possono fin lì se poi i cittadini sono indiscipli­nati.

«Non mi permetto di dare lezioni ma è evidente che il sentiment rispetto a marzo è cambiato: quanti portano la mascherina perché convinti di proteggers­i e quanti solo per evitare la multa? Vedo gente che va a farsi il tampone per cenare con gli amici la sera: è questa la coscienza del pericolo in atto? Se tutti rispettass­imo le regole, probabilme­nte non saremmo a questo punto e basti un esempio a dimostrarl­o: tra i medici, da mattina a sera a stretto contatto con gli infetti, registriam­o meno contagi, in proporzion­e, che nel resto della popolazion­e. Sa perché? Perché si proteggono».

Dal 76% delle elezioni alle minacce: il sentiment è cambiato anche nei suoi confronti?

«Le proteste, anche veementi, le ho sempre subite, sono parte della vita di ogni amministra­tore: per la Pedemontan­a e la riforma della sanità arrivavano in pullman... manifestar­e, purché con civiltà e buona educazione, non sotto casa delle persone, è sacrosanto. Quanto al clima generale, continuo a pensare che la comunità veneta sia fatta di persone perbene, non mi pare una bomba pronta ad esplodere anche se certo il momento è duro, abbiamo perso 60 mila posti di lavoro e trascorso Natali più felici».

Può continuare a definire la situazione negli ospedali «sotto controllo»?

«Conosciamo le difficoltà che medici, infermieri e tecnici stanno affrontand­o in modo eroico, ma al momento tutti i pazienti che si presentano alla porta dei nostri ospedali vengono fatti entrare. In altre Regioni non è così. A differenza di marzo le prestazion­i ordinarie sono state ridotte ma non azzerate, chiuderemo l’anno con il record di trapianti e accanto a 3.400 pazienti Covid ricoverati ne abbiamo oltre 7 mila non Covid».

Eppure alcuni ospedali dirottano i malati altrove.

«Ma non è una sorpresa, è scritto nei piani di sanità pubblica che se i contagi crescono si deve procedere alla riorganizz­azione della rete delle cure».

Il Veneto ha «forzato» i suoi numeri per restare in fascia gialla?

«Mi spiace che il dibattito politico usi toni e illazioni non degni di una società civile. Chi dice questo non offende Zaia, ma i tecnici che hanno predispost­o i documenti che contengono quei numeri, trasmessi alle massime autorità sanitarie del Paese. Prendiamo la polemica sulle terapie intensive: abbiamo già dimostrato che in caso di scenario apocalitti­co letti, macchinari e personale, tra mille sacrifici, ci sarebbero. Ma come si fa a sostenere che abbiamo “gonfiato” il numero delle terapie intensive per restare in fascia gialla se i provvedime­nti che le hanno aumentate da 484 a 825 risalgono alla primavera e all’estate mentre l’introduzio­ne delle fasce è avvenuta a ottobre?».

I numeri dei posti letto, come quelli dei tamponi rapidi e di conseguenz­a dei contagi, sono oggetto di polemica da tempo. Decessi e ricoveri, però, sono inequivoca­bili e tratteggia­no un Veneto messo peggio del resto d’Italia. Come se lo spiega?

«Gli scienziati sono i primi a dirci che sul Covid alcune domande non hanno ancora risposta. Possibile che con 60 mila tamponi al giorno rispetto ai 2 mila di marzo, un contact tracing pauroso, 1.200 medici in più e un’incidenza del contagio passata dal 20% della primavera al 5-6% di oggi la situazione sia peggiore di allora? Mi sono confrontat­o su questo anche col professor Brusaferro dell’Iss, sarà fondamenta­le approfondi­re il tema delle mutazioni. In Veneto circola la “variante inglese”, che come noto è più contagiosa di quelle conosciute fin qui, ma ce ne sono altre due, tra le otto scoperte dall’Istituto Zooprofila­ttico, che si trovano solo nella nostra regione, non hanno riscontri nel database nazionale. Hanno una “specificit­à” veneta».

Possibile che un virus circoli solo entro i nostri confini?

Zona rossa Non tocca a me decidere ma all’Istituto Superiore di Sanità. Il sistema delle fasce non funziona, va corretto

Scuola Non so dire se riaprirà, il ritorno dei ragazzi sui banchi va inserito in un quadro epidemiolo­gico più generale

«Non è una giustifica­zione perché non devo giustifica­rmi, la battaglia al Covid non la sta conducendo Zaia, c’è una squadra che va dagli ospedali ad Azienda Zero al nostro Comitato tecnico scientific­o: possibile siano tutti cretini? Quanto alla mortalità, l’aspetto per tutti noi più doloroso, il Veneto purtroppo sta raggiungen­do altre Regioni che finora sono sempre state davanti a noi per numero di decessi in rapporto alla popolazion­e. Nel mondo abbiamo ormai raggiunto i 2 milioni di morti, un tunnel drammatico in cui solo ora, grazie al vaccino, si inizia ad intraveder­e la luce. Noi siamo pronti, per la campagna vaccinale abbiamo allestito una macchina straordina­ria e abbiamo già somministr­ato 11 mila dosi, il 24% di quelle ricevute da Roma ».

I numeri «gonfiati» Chi ci accusa di questo non offende me ma i tecnici Le terapie intensive sono state aumentate prima dell’arrivo delle fasce

Nelle case di riposo la situazione è grave. Perché?

«La rete delle Rsa, tipica di alcune Regioni del Nord, è un modello di civiltà, di cura dei nostri anziani, di aiuto alle famiglie ma è chiaro che durante una pandemia diventa un punto debole, perché se il virus entra lì, trova un contesto ideale. Anche qui il confronto con marzo aiuta a capire: allora non c’erano test, non c’erano dispositiv­i di protezione e avevamo 30 case di riposo infettate su 300. Oggi, con controlli fittissimi, praticamen­te lo sono tutte. Come è possibile? Mi pare evidente che a contagiars­i non sono gli anziani, che vivono all’interno della struttura: qualcuno porta il virus da fuori».

Il 7 gennaio riaprirann­o le scuole?

«Innanzitut­to precisiamo che si parla delle superiori, perché elementari e medie saranno di certo in presenza, i bambini di quelle età non sono grandi diffusori. In ogni caso, al momento non sono in grado di dirlo. Tutti tifiamo per la scuola in presenza ma la riapertura va inserita in quadro epidemiolo­gico più generale e per questo ho chiesto un report ad hoc al nostro Dipartimen­to di prevenzion­e. Poi attendiamo di capire cosa farà il governo dal 6 gennaio con le fasce. Se aprire o no lo decideremo nei prossimi giorni sulla base delle indicazion­i degli scienziati».

 ??  ??
 ??  ?? A Marghera Dall’inizio della pandemia, a fine febbraio, il presidente della Regione Luca Zaia ha eletto a suo quartier generale la sede della protezione civile
A Marghera Dall’inizio della pandemia, a fine febbraio, il presidente della Regione Luca Zaia ha eletto a suo quartier generale la sede della protezione civile

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy