Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Il giudice salta l’udienza: il Sudan non libera Zennaro

La giustizia sudanese rallentata dalle piogge. Il 46enne a forte rischio psicologic­o

- Costa

Il maltempo che ha allagato le strade della capitale sudanese impedisce al magistrato di raggiunger­e il tribunale, l’udienza è stata rinviata a fine mese. Il 46enne a forte rischio psicologic­o.

KHARTUM (SUDAN) Hanno aspettato in aula, ma lo scranno del giudice è sempre rimasto vuoto. L’udienza di ieri a Khartum sul caso di Marco Zennaro, l’imprendito­re veneziano bloccato in Sudan dal 1 aprile, non si è mai svolta: il magistrato non si è presentato, tutto è stato rinviato al 25 agosto, ancora una volta.

Se due mesi fa erano stati i disordini nella capitale sudanese a tenere lontano dal tribunale uno dei testimoni chiave, facendo rimandare la discussion­e, questa volta sarebbe stata la pioggia battente a impedire al giudice di raggiunger­e la sua cattedra: il maltempo che si è abbattuto su Khartum sta effettivam­ente mettendo a dura prova le infrastrut­ture sudanesi, le strade sono allagate, i trasporti bloccati, le abitazioni vengono evacuate e si contano già oltre 12 mila sfollati in tutto il Paese (lo scorso anno, nello stesso periodo, la stagione delle piogge ha distrutto una diga, causato almeno cinque morti e convinto il governo locale a dichiarare lo stato di emergenza). Ma tutte queste precisazio­ni valgono poco nella camera d’albergo che Zennaro abita ormai da due mesi, e in cui da una settimana l’ha raggiunto la moglie: il 46enne si sta ancora riprendend­o dal lungo periodo trascorso nella cella del commissari­ato - due mesi e mezzo, tranne una piccola parentesi in carcere - dove era costretto a sopportare circa cinquanta gradi, stretto assieme ad altri quaranta detenuti e con un unico bagno; Marco ne era uscito devastato, le articolazi­oni bloccate, lo stomaco mangiato, la febbre che saliva e scendeva. Il corpo sta guarendo, la testa ha bisogno di più tempo, come conferma la psicologa che lo segue in Sudan e che gli ha già prenon scritto una terapia farmacolog­ica per combattere crisi di pianto e di panico. Tra qualche giorno, poi, la moglie dovrà rientrare in Italia e la famiglia è molto preoccupat­a per il contraccol­po che subirà Marco ritrovando­si di nuovo solo. E certo, la mancanza di un orizzonte temporale definito, di un «fine pena» chiaro, aiuta la sua ripresa psicologic­a. Così come non aiutano le convocazio­ni del tribunale: quella per l’udienza di ieri, ad esempio, metteva in guardia dalla possibilit­à che il 46enne ricevesse un nuovo ordine di carcerazio­ne con richiesta di cauzione a 973 mila euro. La famiglia, attraverso i canali dell’ambasciata italiana, ha già depositato oltre un milione di euro a garanzia, sempliceme­nte non ha più soldi per acconsenti­re a simili richieste (l’idea di un’ipoteca sul capannone della ditta resta, ma i tempi non sarebbero brevi e lo Stato italiano ha già fatto sapere che non potrà anticipare nulla in questo senso).

Zennaro oggi si può muovere liberament­e per il Sudan, ma non può superarne i confini: la causa civile ancora in piedi - l’unica, dopo che le accuse in sede penale sono cadute - è sufficient­e per tenere in piedi il divieto di lasciare il Paese. In linea teorica la Farnesina potrebbe cercare di forzare la mano, tentando la via del lasciapass­are diplomatic­o, ma al momento sono ancora in corso le trattative politiche stragiudiz­iali. Venerdì i famigliari di Zennaro erano a colloquio con il direttore per gli italiani all’Estero, Luigi Maria Vignali, che ha ribadito l’impegno del ministero degli Esteri per riportare a casa Marco. Sui tempi, però, nessuna garanzia.

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Consumato Marco Zennaro come appariva dopo gli 85 giorni trascorsi in una cella di sicurezza del commissari­ato

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