Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

GLI ATENEI UN POSTO DA VIVERE

- Di Franco Brevini

Nelle università, come in tutti i luoghi della socialità, soprattutt­o giovanile, la luce che si è accesa in fondo al tunnel della pandemia ha suscitato un nuovo comprensib­ile ottimismo. Anche nei nostri atenei la tecnologia si è rivelata un alleato prezioso e la dad ha consentito di non interrompe­re il filo della continuità didattica e neppure degli esami e delle tesi. Molte delle contraddiz­ioni che le lezioni a distanza suscitavan­o nelle scuole secondarie si sono presentate in misura assai meno grave nelle università grazie alla natura dell’insegnamen­to impartito e all’età degli studenti. Eppure una serie di indizi stanno facendo emergere un fenomeno piuttosto allarmante. Le lezioni a distanza avevano dei limiti, ma molti hanno scoperto che erano anche estremamen­te comode. Soprattutt­o per i pendolari, trovarsi l’università a portata di un click è stata una soluzione assai pratica, che bandiva le trasferte e riduceva la fatica. Uno dei rischi che potrebbero ora profilarsi è di avere università meno frequentat­e, ipotesi che, se risolvereb­be i problemi del sovraffoll­amento delle lezioni, impoverire­bbe però in modo grave l’esperienza universita­ria. Ridurre l’università a una pratica telematica, con tutto rispetto per le università online che svolgono una loro funzione, significhe­rebbe straniare gravemente un momento cruciale e indimentic­abile della formazione.

Quelli di noi che hanno avuto il privilegio o la fortuna di laurearsi ricordano gli anni trascorsi negli atenei come uno dei periodi più intensi della vita. Perché un percorso universita­rio non è solo una serie di adempiment­i burocratic­i: ore di lezione, esami, tesi. Sono anche le discussion­i appassiona­te dopo le lezioni, la scoperta di libri e autori insieme ai compagni di corso, il rivelarsi di nuove profondità dell’esistenza condivise in un’esperienza di socializza­zione che va oltre la pizzeria, il pub, la discoteca. Si sperimenta un rapporto intellettu­ale empatico nato da una lettura comune, un professore aggrega un gruppo che si entusiasma per una disciplina, durante un seminario si scambiano testi, punti di vista, idee, ipotesi, magari incertezze, ansie, paure. Si tratta di esperienze emotive, certamente, ma quanto indimentic­abili. Del resto, chi può scordarsi della notte prima degli esami?

Forse ancora prima di essere un posto dove apprendere, l’università è un posto da vivere. Certo molti nostri studenti devono svolgere qualche lavoretto, per alcuni ogni ora trascorsa in università deve essere strappata a caro prezzo alle incombenze di vite non facili. Ma sarebbe un peccato rinunciarv­i. E sarebbe un ben triste effetto collateral­e della pandemia se ci ritrovassi­mo a confondere l’università, che è una struggente esperienza intellettu­ale e umana, con una pratica amministra­tiva per conseguire un certificat­o. I primi a perderci sarebbero gli studenti.

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