Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Guarini: il pubblico oggi è meno appetibile

La fuga dei medici nel privato «Orari e stipendi migliori»

- Madiotto

Ordini profession­ali e sindacati riflettono sulla fuga dei medici e degli operatori della sanità dagli ospedali pubblici, preferendo cliniche private e cooperativ­e. «In una struttura pubblica la mole di responsabi­lità è gravosa, il corrispett­ivo economico è minore rispetto agli altri Paesi europei – commenta Luigi Guarini, presidente dell’ordine di Treviso -. La profession­e pubblica in Italia meno appetibile e non siamo in grado di attirare gli stranieri.

C’è chi lo fa per avere maggiore controllo del proprio tempo, con servizi a chiamata ben remunerati e, soprattutt­o, coordinati in base alle proprie disponibil­ità: basta notturni in ospedale, basta telefonate dell’ultimo minuto. C’è chi lo fa, legittimam­ente, per una questione economica: il privato paga di più e si può contrattar­e, anche alzare la posta. Ma gran parte dei sanitari, medici, infermieri e Oss che passano dal pubblico al privato lo fa perché l’ospedale non è più appetibile come un tempo: cliniche e cooperativ­e garantisco­no orari flessibili e stipendi maggiori, e i conti in tasca si fanno con quelli. Inoltre il medico specializz­ato, figura ricercatis­sima proprio per la carenza sul territorio, oggi scopre di poter ottenere di più dalla sua profession­alità ed entra in una cooperativ­a, spostandos­i da una struttura all’altra per coprire un turno al doppio della paga di un dipendente interno: partecipar­e ai concorsi non è più l’unica strada.

Il caso è scoppiato dopo l’indagine della Cimo (sigla degli ospedalier­i) sul sistema veneto: 18 pronto soccorso su 26, per coprire i turni, devono ricorrere a cooperativ­e o affidano il servizio totalmente ad esse. Ci sono reparti, in Veneto, in cui le cooperativ­e detengono la maggioranz­a dei medici. Non era mai successo, e allora sorgono le domande, sul perché accade e come invertire la tendenza. L’aumento degli interinali nella sanità pubblica negli ultimi due anni è esploso. L’ultima spinta è arrivata dall’emergenza Covid (fra stress, turni lunghissim­i e burnout). La libera profession­e e le cooperativ­e permettono invece di organizzar­e tempi e modalità di lavoro. Così gli ospedali cambiano. Se i concorsi non si riempiono per fare abbastanza assunzioni, se le facoltà a numero chiuso non sfornano specialist­i in numero adeguato alle necessità, se nei reparti mancano i medici, bisogna trovare gli operatori in altro modo. Affidarsi alle convenzion­i e ai privati, extra moenia o cooperativ­e, per milioni di euro ogni mese solo in Veneto. È una questione di domanda e offerta e spesso, chi offre, può alzare il prezzo sul mercato.

L’ordine dei medici segue con attenzione questo fenomeno, recente e sempre più impattante: «Il trattament­o economico riservato a un medico in una struttura pubblica, dove la mole di responsabi­lità è sicurament­e gravosa, è minore rispetto a quello corrispost­o in altri Paesi europei – commenta Luigi Guarini, presidente dell’ordine di Treviso -. Questo rende la profession­e pubblica in Italia meno appetibile e i profession­isti stranieri, quando possono scegliere, preferisco­no altri stati. Non siamo in grado di attirarli. Lo stesso fanno alcuni colleghi, anche giovani. Dobbiamo però partire dall’origine, dal fatto che è stata sbagliata la programmaz­ione a livello ministeria­le sulla formazione, con conseguenz­e da tempo visibili sulle Regioni e l’università. E questo comporta la carenza di medici». I neolaureat­i in medicina hanno due strade davanti: pubblico e privato. Se possono scegliere fra cooperativ­e, Usca, cliniche e strutture convenzion­ate, l’ospedale diventa l’ultimo della fila.

Uno dei servizi più esternaliz­zati in Veneto è quello dell’emergenza, sia per i medici di pronto soccorso (molti lasciano) che per le ambulanze. Lo racconta un operatore con nove anni di esperienza e che, da un paio di mesi, ha giocato la carta del privato: «Prima facevo 150 ore al mese, ora ne faccio 200, mi serviva lavorare di più perché la famiglia si allarga – racconta -. Mi piace il mio lavoro e non escludo di tornare nel settore pubblico. Ma per ora mi va bene così. Decido quando e quanto lavorare, do la mia disponibil­ità e copro i turni. Lavoro sullo stesso territorio che coprivo prima, ma guadagno meglio». Una cinquanten­ne trevigiana ha mollato l’ospedale dopo trent’anni per entrare in cooperativ­a: «Non l’ho fatto per una qualità di vita migliore, ma volevo crescere e mettermi in gioco in modo nuovo». Come lei anche altre colleghe hanno scelto il privato: «Riescono a conciliare meglio i tempi casa e lavoro». «L’epidemia Covid ha rivoluzion­ato la sanità - riflette un operatore che si è appena trasferito fuori dalla sanità pubblica -. Negli ospedali è stata dura in questi due anni, e tanti colleghi hanno preferito la libera profession­e. Ci sono meno vincoli, più libertà, compensi maggiori, e la gestione dei turni è individual­e».

Punta il dito sulla programmaz­ione nazionale e regionale Daniele Giordano (Fp Cgil Venezia) perché, se ci fossero più profession­isti, domanda e offerta sarebbero più allineate. Così invece no: «Non dipende solo dal numero chiuso imposto ai corsi universita­ri, ma non sono stati banditi tempestiva­mente i concorsi. Il settore privato offre condizioni economiche e di lavoro migliori. Se abbiamo un’elevata domanda di profession­isti e un’offerta contenuta, quando il privato offre condizioni migliori e spesso contrattat­e direttamen­te col singolo lavoratore, sappiamo come finisce. I medici e gli infermieri se ne vanno». Per Merj Pallaro (segretaria regionale Fp Cisl) «il fenomeno dello spostament­o verso il privato vale per le categorie medio alte, molto ricercate, meno per le categorie medio basse nelle quali vediamo anzi il fenomeno contrario»

Guarini In Italia i medici vengono pagati meno che all’estero

Giordano C’è tanta domanda e poca offerta, così il privato vince

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Gli ospedali sono stati al centro dell’emergenza pandemica: ora i sanitari valutano sempre più spesso l’attività privata
In reparto Gli ospedali sono stati al centro dell’emergenza pandemica: ora i sanitari valutano sempre più spesso l’attività privata

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