Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

«Nessuna estorsione, mi doveva 100 mila euro»

- Denis Barea

TREVISO Nessuna intimidazi­one, nessuna frase minacciosa e allusiva ai rapporti con la criminalit­à organizzat­a della Venezia orientale, nessun pestaggio. Fabio Gianduzzo, il presunto capo degli estorsori che avrebbero messo nel mirino la Btime spa di Treviso, si difende a spada tratta e rimanda al mittente le accuse. L’uomo, 56 anni del veneziano, è finito in carcere insieme al goriziano Edi Biasol, 52enne, sulla base di ordinanza emessa del gip di Treviso Angelo Mascolo, che ha anche imposto al terzo componente del gruppo, Rudi D’Altoè, 45enne di Roncade, l’obbligo di dimora. Ieri Gianduzzo è comparso davanti al giudice (assistito dall’avvocato

Giuseppe Muzzuppapp­a). «Estorsione? Ero io che avanzavo soldi da Renato Celotto (il responsabi­le commercial­e della Btime, una delle vittime della presunta estorsione, insieme all’amministra­tore unico della società di consulenza, Michele Gallà) gli ho fatto da autista per un anno – ha detto - e mi doveva anche soldi relativi a percentual­i sugli affari». Secondo le indagini, coordinate dal pm Gabriella Cama, Gianduzzo avrebbe estromesso la proprietà riuscendo a prosciugar­e il patrimonio dell’azienda di un milione di euro, oltre a macchine di lusso. «Il creditore ero io - ha detto Gianduzzo Celotto mi doveva 100 mila euro. È vero che c’è stato un confronto duro all’inizio, in cui sono volati anche degli schiaffoni, ma poi le cose si sono sistemate. Allora ho iniziato l’attività di autista per l’imprendito­re, più o meno per un anno; lo portavo un po’ in mezza Italia a bordo delle sue macchina costose ma per quel lavoro non sono mai stato pagato. Gli assegni e prelievi in contanti? Chiedete a Celotto a chi sono andati, non certo a me che sono all’oscuro di tutto». Il giudice, che è in riserva sulla misura cautelare, ascolterà invece Rudi D’Altoè (difeso dall’avvocato Carlo Bermone) domani.

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