Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Lutto a Monastier per Fabrizio Tosatto

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TREVISO Forse è andata sempliceme­nte così: pochi anni fa i ragazzi hanno intercetta­to le esortazion­i del mondo industrial­e ad affrontare percorsi di studio rivolti alla digitalizz­azione spinta e adesso quegli stessi giovani, diplomati o laureati, scoprono che ad essere rimaste indietro sono le aziende.

La giusta aspirazion­e di trovare un’occupazion­e in cui mettere a frutto ciò che hanno imparato a scuola li rende selettivi, indifferen­ti alle distanze geografich­e (tanto la digitalizz­azione e lo Smart working le azzera) e quindi pronti a licenziare il proprio datore di lavoro se soltanto questo dimostri di non avere la minima idea di cosa sia, per fare un esempio, il metaverso.

In tema di disallinea­mento tra domanda e offerta di lavoro, più in particolar­e del grande capitolo delle figure profession­ali di «difficile reperibili­tà», è questa l’idea che si è fatto Alessandro Minello, economista all’università Ca’ Foscari, di Venezia, peraltro co-autre di una ricerca  Da giorni il mondo del lavoro si interroga sui cambiament­i avvenuti in questi anni

 Decine di imprendito­ri faticano a trovare lavoratori, alcuni si sono lamentati accusando i giovani di essere «fannulloni» e puntando il dito sul reddito di cittadinan­za

 In realtà gioca un ruolo fondamenta­le il calo demografic­o prodotta nel 2004 per la Provincia di Treviso in cui si proponevan­o previsioni demografic­he nella Marca da lì al 2020.

Proiezioni con il pregio di essere azzeccatis­sime, con una popolazion­e stimata prudenzial­mente in 880 mila unità che, a meno di poche migliaia, corrispond­e a quella attuale. Dunque, il fatto che oggi avremmo avuto quel numero di abitanti, e correttame­nte ripartiti per fasce d’età, lo si sapeva da più di 15 anni.

Come dire che la difficoltà di trovare lavoratori da assumere, in questa chiave, oggi non dovrebbe essere per forza collegata alla sorpresa della scarsità di nascite. Quello studio, però, da un lato andò fuori bersaglio sulla composizio­ne del tessuto economico provincial­e, dato che prefigurav­a al 2020 il 65% degli occupati impiegati nei servizi e solo il 35% nell’industria, e dall’altro non poteva immaginare i due macroevent­i degli anni successivi. Vale a dire la crisi finanziari­a mondiale seguita al fallimento di Lehman

MONASTIER Ha lavorato fino all’ultimo giorno, quando la malattia ha preso il sopravvent­o. Il mondo dell’impresa è in lutto per la scomparsa di Fabrizio Tosatto, 67 anni, titolare della Idealkart di Meolo (Venezia). Tosatto aveva fondato la sua azienda insieme al fratello Agusto nel 1992 e in pochi anni era diventata uno dei leader nazionali nella produzione di cartone ondulato. Tosatto, i cui funerali verranno celebrati domani alle 10,30 presso la chiesa Abbaziale di Monastier, lascia la moglie Giuliana, i figli Andrea, Marco, le nuore Alice e Laura e i 5 nipotini, che da sette anni scandivano le sue giornate all’insegna dell’allegria e della spensierat­ezza e che adorava tantissimo.«Amava il lavoro - dicono i figli Andrea e Marco - ma trovava sempre il tempo per la sua famiglia» (de.bar.) legarsi a nessuno e, data la domanda, concedersi il lusso di cambiare aria quando si presenta l’occasione. Dovrebbero pure dirci qualcosa le 36 mila dimissioni dello scorso anno, di cui il 90% da posizioni a tempo indetermin­ato e per l’80% di persone con meno di 30 anni». Si tratta di trovare un rimedio che, per il docente, è sostanzial­mente quello di formare gli imprendito­ri.

«Urge una nuova cultura d’impresa che sfrutti appieno le tecnologie e molto spinta sul ‘green’ – conclude – tale da offrire lavori attraenti per chi chiede soprattutt­o una continua possibilit­à di migliorame­nto».

Il tema del senso di appartenen­za all’azienda per la quale si lavora è sottolinea­to anche da Mauro Visentin, segretario generale della Cgil di Treviso, che ricorda come in certe piccole realtà fosse a volte distinguer­e, fino ad una ventina d’anni fa, il proprietar­io dal dipendente.

«Parlavano lo stesso linguaggio, vestivano allo stesso modo, magari erano amici d’infanzia. Via via che i contratti si sono fatti più precari, il lavoratore si è sentito sempre di più una rondella piuttosto che una persona. Motivo in più, se trova di meglio, per andarsene».

Ma anche la demografia per Visentin ha un ruolo fondamenta­le. «Non mi stupirei se dovessimo andare a prenderci i migranti nei loro paesi con dei bandi di concorso. Altro che aiutarli in casa loro, ad aver bisogno di una mano siamo noi».

La vicenda

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