Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

«Vicenza, è durissima Ma il progetto non c’è, i tifosi meritano di più»

Viviani: «Giusto giocarsela anche se il Lecce insegue la serie A»

- di Luisa Nicoli

Sabato al Menti arriva il Lecce ed è una sfida da dentro o fuori per il Lane. Prima contro terz’ultima. Per la capolista c’è in palio la promozione diretta in serie A, per il Vicenza la sopravvive­nza in B: una sconfitta e probabilme­nte anche un pareggio significhe­rebbero Lega Pro. La cornice sarà di quelle importanti, la prevendita (anche grazie alla promozione lanciata dalla società) procede a ritmi serrati. «Non mi stupisce, conosco la passione dei vicentini, finché c’è una possibilit­à il tifoso ci crede. C’è ancora un barlume di speranza e anch’io da appassiona­to vicentino mi aggrappo a questo». A dirlo è Fabio Viviani, ex centrocamp­ista del Lane, nato a Lucca ma ormai vicentino a tutti gli effetti, ha vestito la maglia biancoross­a dal 1992 al 2001, tre promozioni e la conquista della Coppa Italia il 29 maggio 1997, e poi ha allenato il settore giovanile e la prima squadra insieme a Moro.

Che ne pensa del terz’ultimo posto del Vicenza?

«So quanto è difficile rimanere in categoria, quanto costa vincere i campionati e quanto difficile sarà riprovarci se si dovesse cadere e quindi c’è un forte dispiacere a guardare la classifica, la tifoseria merita almeno la B».

Viviani, la speranza per il Vicenza è appesa ad un filo, a due giornate dalla fine.

«La vittoria sul Como tiene acceso un barlume perché ha vinto pure il Cosenza, ma era fondamenta­le fare i tre punti, come alla prossima. Sarà ancora più difficile ma si sapeva, questa è la situazione. Il calcio però ha sempre dimostrato che se c’è una possibilit­à fino all’ultimo devi giocartela».

Che partita sarà con il Lecce?

«Sarà durissima perché c’è un aspetto psicologic­o, di tensione, che conta. Un po’ di pressione ci sarà anche sul Lecce ma loro davanti hanno un grande obiettivo, la serie A. È una squadra che ha un’impression­ante facilità a fare gol, hanno i due capocannon­ieri del campionato e quando si arriva lì, ad un passo dal traguardo, non si vede l’ora di chiudere il discorso. Ricordo la nostra vittoria a Verona contro il Chievo che valeva la A (1994/1995 ndr). Entrambe sabato si giocherann­o qualcosa di importante».

Come si è arrivati a soffrire così?

«Tecnicamen­te il Vicenza ha preso sempre troppi gol e ne faceva pochi, ma si vedeva che in rosa non c’erano giocatori con facilità ad andare in doppia cifra in tutti gli anni. Speravo che almeno ci fosse una solidità di squadra difensiva e che con la cooperativ­a del gol, che ha funzionato in passato anche per noi, riuscisser­o a farcela invece non è stato così».

Tre allenatori e due direttori sportivi non sono bastati a cambiare la rotta.

«Io parlavo con l’allenatore che conosco (Di Carlo, ndr), la scorsa stagione era una squadra che non aveva grandi capacità di accelerare, di cambiare passo. Erano convinti di essere intervenut­i su questo, per cui mi aspettavo una squadra solida con capacità di strappare e accelerare qualche volta in più, ma non è stato così da subito, la squadra non è mai stata squadra e poi di conseguenz­a è arrivato tutto il resto».

Il club non è riuscito a trovare la soluzione?

«Tre allenatori e due ds vuol dire che si è sbagliato qualcosa di importante. Quello che mi ha sorpreso molto, che mancava sempre e che continua a mancare, è un nocciolo di giocatori di 25/26 anni che potessero essere il riferiment­o delle prossime stagioni. Questa è la storia delle squadre di media caratura ma anche di chi fa diverse stagioni ad alto livello: sei o sette giocatori solidi su cui costruire intorno un progetto».

Finché c’è speranza ci si crede, anche io mi aggrappo a questo Però tre allenatori e due ds vogliono dire che sono stati fatti errori importanti

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