Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
I NUOVI LAVORI E I DIRITTI
Le piattaforme digitali che operano in molti settori (dalle consegne a domicilio ai sistemi di trasporto, dai servizi per la casa ai servizi professionali) stanno modificando in profondità il mondo del lavoro, oltre alle nostre stesse abitudini quotidiane; hanno aperto nuovi mercati del lavoro, flessibili e dinamici, offrendo nuove opportunità per i giovani (e non solo). Al contempo, le piattaforme hanno posto una serie di questioni sociali e giuridiche che attendono una soluzione. Anzitutto, cosa sono le piattaforme digitali? Stiamo parlando di imprese di beni e servizi o di meri intermediari digitali che si interpongono tra una massa di potenziali utenti e una folla di prestatori autonomi di servizi? Quest’ultima tesi, spesso sostenuta dalle piattaforme, è stata smentita dalla Corte di giustizia europea nel caso Uber Spagna, che ha qualificato la piattaforma digitale come un’impresa di servizi. Di conseguenza, i rapporti che le piattaforme intrattengono con coloro che prestano l’attività (siano i ciclofattorini di Glovo o i tassisti di Uber, o i lavoratori-nuvola di Mechanical Turk che svolgono micro-mansioni nel cyber-spazio) sono veri e propri rapporti di lavoro. Sorge quindi la questione della loro qualificazione: si tratta di lavoratori autonomi, come sostengono le piattaforme, o dipendenti, come spesso rivendicano i sindacati? La questione non è secondaria, considerati i diritti di cui godono i lavoratori subordinati a fronte delle scarse o nulle tutele degli autonomi.
Il Parlamento europeo ha invitato la Commissione europea a riconoscere alle piattaforme lo status di datore di lavoro, con ciò che ne consegue in termini di obblighi e responsabilità. Una recente proposta di direttiva europea raccoglie l’invito e introduce una presunzione relativa di subordinazione per tutti i lavoratori delle piattaforme digitali; che può tuttavia essere ribaltata dalla piattaforma se il lavoratore è genuinamente autonomo. Al contempo la proposta di direttiva intende attribuire a tutti i lavoratori, dipendenti o autonomi, un diritto al controllo dell’algoritmo che governa l’organizzazione del lavoro, per scongiurare discriminazioni e mancanza di trasparenza. Anche l’Organizzazione internazionale del lavoro si è interessata al tema con uno studio che propone, diversamente dall’approccio europeo, di individuare un’ampia serie di diritti da garantire ai lavoratori delle piattaforme digitali (tutela della salute, sicurezza sociale, compenso equo, garanzie di stabilità, diritti sindacali, ecc.) sia che siano subordinati o autonomi. Un modo più razionale di affrontare il problema dei diritti dei lavoratori delle piattaforme, peraltro coerente con quanto stabilisce l’art. 35 della Costituzione quando afferma il sacrosanto (ma spesso dimenticato) principio della «tutela del lavoro in tutte le sue forme e applicazioni».