Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Yes, la band leggenda del progressiv­e rock in scena con Howe

- Francesco Verni

Ci sono band e ci sono leggende. Gli Yes fanno parte, senza alcun dubbio, della seconda categoria. Cinquantac­inque anni di carriera, 22 album in studio (tra i quali i capolavori The Yes Album e Fragile), il gruppo inglese icona del progressiv­e rock (ancora guidato da Steve Howe), sarà domani al Gran Teatro Geox di Padova per una tappa di «The Classic Tales of Ye s To u r » (ore 21.15, i n fo www.zedlive.com). A raccontarl­o è Jon Davison, voce della band dal 2012.

Davison, che scelte avete fatto in questo tour per raccontare la vostra storia così lunga e gloriosa?

«Steve (Howe, fondatore e componente storico, ndr) ha ideato la maggior parte della scaletta e poi tutti noi abbiamo contribuit­o con i nostri suggerimen­ti, cosa che lui apprezza molto. Adora quando rispondiam­o con entusiasmo alle sue idee. Poi, guardando la scaletta nel complesso, mi è venuto in mente il titolo del tour, “The Classic Ta l e s of Yes”».

Come mai dopo i «The Album Series Tour» avete puntato a un tour «generalist­a»?

«Vogliamo sempre incorporar­e una maggiore varietà nel materiale dal vivo. Penso che alla fine torneremo alla serie degli album, ma non vogliamo nemmeno essere vincolati da questo concetto. È un’arma a doppio taglio perché facendo interi album possiamo portare sul palco molti brani rari, il che è eccitante, ma poi tagliamo spazio per eseguire gli standard che la g e n te viene a cercare e si aspetta di sentire».

Negli ul t i mi anni, sono scomparsi due componenti importanti della band come Chris Squire e Alan White. Ci sarà un momento per ricordarli?

«A ogni canzone che suoniamo sul palco, il gruppo pensa costanteme­nte ad Alan e Chris, e sono sicuro che il pubblico reagisce alla musica pensando a loro con affetto. Ogni sera sentiamo davvero che il loro spirito circonda l’evento e benedice la nostra performanc­e musicale».

Ormai fa parte della band da 12 anni e oltre i tour, ha registrato tre album, il più recente dei quali è «Mirror to the Sky». Come è essere parte di un gruppo leggendari­o?

«In questi ultimi 12 anni di permanenza negli Yes, ho lavorato così a stretto contatto con Steve Howe e gli altri che credo che la loro maestria di compositor­i si sia trasmessa a me in modi che hanno aumentato le mie capacità creative di scrivere canzoni. È naturale che la mia creatività venga esaltata in modi nuovi, il che rende gratifican­te fare parte di una band così leggendari­a».

Come si spiega, in tempi in cui rap e pop la fanno da padroni, l’affezione del pubblico ad un genere complesso e articolato come il progressiv­e rock?

«Credo che la cultura italiana lo c a p i s c a meg l i o . Pe r esempio, perché avere fretta di cenare quando si può stare seduti tra parenti e amici davanti a una tavola ricca di portate e di vino pregiato? Perché non godersi al massimo l’esperienza? Ecco, questa è u na b u o na metafo r a della qualità del rock progressiv­o e di come chi ha gusti musicali più raffinati voglia assaporarl­o».

Perché il successo più importante degli Yes, «Owner of a Lonely Heart», manca dalle scalette dei concerti dal 2017?

«In tutta onestà, Steve non vuole suonarla, e perché dovrebbe? Il suo stile chitarrist­ico unico e il suo contributo alla grande era degli Yes sono sufficient­i per deliziare i fan e riempire le sale».

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Nella foto tonda la band «Yes» oggi Nella foto grande, Jon Davison, storica voce del gruppo dal 2012
Icone Nella foto tonda la band «Yes» oggi Nella foto grande, Jon Davison, storica voce del gruppo dal 2012

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