Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

«Noi felici di farlo, ma l’accoglienz­a familiare deve essere l’eccezione»

- Alberto Beltrame

«Una famiglia non può reggere da sola il peso dell’accoglienz­a, ma deve essere affiancata da un’équipe di psicologi, mediatori, insegnanti. Il punto è questo: lo Stato sta solo ragionando nell’ottica dell’emergenza e vuole riempire un buco che non sa colmare? O si sta davvero pensando di inserire queste persone nel nostro Paese, in cui un domani saranno cittadini e lavoratori? Di certo l’accoglienz­a in famiglia non può essere la regola, ma l’eccezione». Lo ha sempre detto Antonio Calò (in foto): i sei richiedent­i asilo, originari del Gambia e della Nigeria, che ospita in casa sua a Camalò di Povegliano, gli hanno cambiato la vita. In positivo. Sono entrati sei mesi fa nella sua famiglia ed ora ne fanno parte a tutti gli effetti. Ma proprio per questo lui, che per il suo impegno verrà ricevuto assieme a sua moglie Nicoletta martedì 17 novembre dal presidente Sergio Mattarella per il conferimen­to dell’onorificen­za di Ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica italiana, sa bene quali sono le difficoltà di aprire la propria casa a rifugiati fuggiti dalla guerra e dalle persecuzio­ni, con tutti i traumi psicologic­i o fisici che ne conseguono. «Le famiglie che intraprend­ono questo percorso - afferma devono sapere che la loro vita può essere sconvolta: devono essere convinte di ciò che fanno, e magari avere esperienze di accoglienz­a alle spalle. Devono essere presenti, sennò diventano né più né meno di un affittacam­ere, e trovare un motivo di arricchime­nto, e non di scompenso, nel vivere con persone con le quali possono nascere difficoltà». Sul modello presentato in prefettura a Padova, Calò pone un’obiezione: «Troppo pochi due profughi per famiglia. C’è il rischio che i isolino, in un momento in cui invece hanno bisogno di stare assieme. Ma è indispensa­bile che anche le famiglie non vengano abbandonat­e».

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