Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
La procura: «Porteremo il killer in Italia» Omicidio Cannizzaro, sarà chiesta l’estradizione. Squadra mobile al lavoro: servono altri accertamenti
«Faremo tutto il possibile per portare il killer in Italia». Il procuratore aggiunto di Venezia Adelchi D’Ippolito fa una promessa alla famiglia di Alberico Cannizzaro, l’anziano padre di due sacerdoti mestrini, ucciso a coltellate nella sua abitazione di piazzale Radaelli a Marghera lo scorso 2 luglio. Ora, secondo il pm Laura Cameli e la squadra mobile della Questura, coordinata da Angela Lauretta, l’assassino ha un volto e un nome: quello di Marcel Mustata, 21enne romeno, che in questo momento di trova in carcere in Romania con l’accusa di violenza sessuale. Volto e nome che sono già passati al vaglio di un giudice, visto che nei giorni scorsi il gip Alberto Scaramuzza ha firmato un’ordinanza di custodia cautelare per il giovane, seguita da un mandato di arresto europeo, con l’accusa di omicidio volontario e rapina. «La procura ne chiederà l’estradizione», assicura D’Ippolito. Un modo, forse indiretto, anche per rassicurare la signora Bruna, moglie di Alberico, che di fronte all’assedio dei giornalisti subito dopo l’arresto, non ha nascosto la sua rabbia contro il sistema giustizia. «Non credo nella giustizia, non ci credo più, mi dispiace - aveva detto la donna Li prendono, e poi escono, magari tornano ad ammazzare ancora, per nulla, per pochi euro, come hanno fatto con Alberico». Mustata, accusato di aver violentato una connazionale, è in carcerazione preventiva, ma nel caso in cui dovesse essere revocata quella misura cautelare, automaticamente scatterebbe in ogni caso quella italiana.
Il caso sembrerebbe risolto: il colpevole (o presunto tale) è già in cella, nel corso della conferenza stampa è stato ribadito che non ci sarebbe il coinvolgimento di altre persone. Ma la squadra mobile continua a lavorare in silenzio. Ci sono ancora ulteriori approfondimenti da fare, che ovviamente restano coperti dal massimo riserbo. Come per esempio nessuno degli inquirenti vuole confermare che l’impronta digitale decisiva – quella che ha portato a Mustata grazie al perfetto combaciare di tutti e 16 i punti solitamente utilizzati per il confronto – sia stata trovata sul manico del coltello spezzato che era al fianco del cadavere di Cannizzaro. «E’ stata trovata sulla scena del delitto», è l’unica frase che si riesce a strappare. L’impronta, confrontata con quelle contenute nei database della polizia, ha portato a Mustata, che aveva già dei precedenti di fotosegnalamento per piccoli reati contro il patrimonio. Un nome riferibile a un gruppo di sbandati romeni, dediti a piccoli furti e rapine e anche alla prostituzione, che già era finito nel mirino della squadra mobile. Ma restano aperte numerose questioni, a partire dal movente. Da casa sarebbero infatti spariti gioielli di scarso valore, troppo poco per giustificare un delitto così efferato, con un coltello spezzato nella gola. E resta il fatto che la porta non aveva segni di effrazione, quindi l’uomo è entrato insieme alla sua vittima.
I figli don Stefano e don Corrado, parroci di San Pietro Orseolo e di San Paolo, insieme a mamma Bruna aspettano che il 21enne sia assicurato alla giustizia. «La polizia – aveva detto don Stefano – ci è sempre stata vicina in questi mesi», ma adesso che il presunto assassino ha un volto e un nome è ancora più difficile darsi pace. Soprattutto perché le domande che ancora non hanno trovato una risposta sono molte. Una su tutte è «Perché»? Perché lo avrebbe ucciso, proprio negli unici giorni in cui Cannizzaro era rimasto da solo? Ieri nelle parrocchie di via Stuparich e di viale Don Sturzo a Mestre aleggiava il silenzio e i campanelli suonavano a vuoto, senza che nessuno aprisse. Lo stesso silenzio che hanno scelto Stefano e Corrado, che dopo le prime parole di circostanza preferiscono aspettare maggiori certezze dalle indagini.