Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Baita di nuovo a processo per le fatture false
Rinviato a giudizio a Padova. I legali: «Qui siamo innocenti». Mantovani, archiviata l’indagine sull’Expo
Piergiorgio Baita, in qualità di ex ad della Mantovani, è stato rinviato a giudizio a Padova per fatture false, secondo l’accusa emesse tra il marzo 2010 e maggio 2011 per complessivi 230 mila euro. I legali: «Qui siamo innocenti». Archiviate invece le accuse a Mantovani per l’Expo.
Il suo avvocato Alessandro Rampinelli ostenta tranquillità. «L’ingegner Baita ha ammesso di aver commesso tanti reati, ma da questa accusa ci difenderemo perché è innocente», dice. L’accusa è ancora una volta quella di aver emesso false fatture quando era alla guida di Mantovani e, dopo essere stato rinviato a giudizio da gup di Padova Domenica Gambardella, il processo per Piergiorgio Baita inizierà il prossimo 1 aprile. Secondo la ricostruzione della Guardia di Finanza e del pm Federica Baccaglini, Mantovani avrebbe emesso tra il marzo del 2010 e il maggio del 2011 tre false fatture per complessivi 230 mila euro più Iva nei confronti del Consorzio Venezia Nuova, per un fantomatico «piano economico finanziario», che in realtà non sarebbe stata altro che una «provvista» per assumere come proprio dipendente Roberto Pravatà, ex vicepresidente dello stesso Cvn e poi uscito nel 2008 dopo un forte litigio con il suo superiore Giovanni Mazzacurati. Proprio quest’ultimo, sotterrata l’ascia di guerra, aveva chiesto a Baita il favore, per poter consentire a Pravatà di ottenere quegli ultimi mesi di lavoro che gli erano fondamentali per la pensione.
Ben diversa la tesi della difesa, che peraltro ha innanzitutto presentato una raffica di eccezioni sulla competenza territoriale, sostenendo che è strano immaginare che questa vicenda sia slegata da quelle veneziane del Mose e che comunque la sede legale di Mantovani è nel capoluogo, come peraltro già confermato dal fatto che di tutte le inchieste sulle false fatture della società si è occupata la procura lagunare. Quanto al merito, ieri l’avvocato Rampinelli ha scaricato sul tavolo del giudice una montagna di carte, per dimostrare che quel piano economico finanziario c’era stato, eccome. A redigerlo era stata la Hydrostudio, una società del gruppo Mantovani, in collaborazione con Pravatà e riguardava un progetto allora in auge e poi naufragato: quello di costruire un terminal petrolifero in mare aperto per evitare l’ingresso delle petroliere in laguna. L’input era partito dal Magistrato alle Acque, che aveva incaricato il Consorzio. «Lo studio è stato eseguito, dunque dov’è il reato di fatture per operazioni inesistenti? - sostiene Rampinelli - I 230 mila euro pagati sono anche pochi, visto che si tratta di un’opera da 2 miliardi e mezzo».
Nuovi guai a Padova, ma anche buone notizie da Milano. Lì la procura aveva iscritto Baita sul registro degli indagati per il maxi-appalto della piastra dell’Expo, insieme all’ex manager di Expo Angelo Paris, l’ex responsabile del Padiglione Italia Antonio Acerbo, l’imprenditore Erasmo Cinque e il figlio Ottaviano, che con la loro impresa Socostramo avevano fatto parte della gara. Negli unici atti ricevuti dalle difese, quelli di richiesta di proroga delle indagini, in un primo momento si ipotizzava addirittura il reato di corruzione, poi ridotto in turbativa d’asta. Gli atti sono ancora segreti, ma l’ipotesi è che i pm fossero già a caccia di reati sull’appalto e a questo avessero aggiunto le dichiarazioni rilasciate dallo stesso Baita ai pm veneziani (e da questi ultimi trasmesse), in cui affermava di aver preso con sé Socostramo perché poteva garantire l’aggiudicazione. Era anche spuntato un bigliettino in cui un emissario Mantovani aveva scritto al manager di Infrastrutture Lombarde Antonio Rognoni «sappiamo che siamo andati bene sulla parte qualitativa…». Le indagini però non hanno chiarito la situazione e nei giorni scorsi i pm milanesi hanno chiesto l’archiviazione per tutti e cinque gli indagati
Le fatture Secondo la procura sono state emesse per lavori inesistenti e solo per pagare Pravatà