Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Marzo Magno Viaggio in Dalmazia sulle orme di Fortis

«Il leone di Lissa» di Marzo Magno ripercorre l’itinerario che l’abate Fortis fece nel Settecento

- Chiamulera

Cittadino di quella invisibile repubblica dei libri che unisce lettori e autori in una segreta, profonda intimità, il veneziano Alessandro Marzo Magno un giorno si è messo in viaggio. Ha rifatto il percorso di un suo concittadi­no di oltre due secoli prima, per tornare a varcare, tra isole e approdi, i «tropici alle porte di casa», l’esotico vicino e lontano dal Veneto: la Dalmazia. Esiste un viaggio più bello di quello che si può fare al seguito di un osservator­e che già ha raccolto le proprie impression­i su un luogo, per confrontar­e il proprio sguardo con il suo, per capire cosa è oggi di quello che i veneziani chiamavano Stato da mar, metà acquatica del territorio della Repubblica? Così, adesso che Il Saggiatore ripubblica Il leone di Lissa (prima edizione 2003), il viaggio di Marzo Magno ritorna, seguendo ancora gli itinerari dell’abate padovano Alberto Fortis di duecentove­nti anni prima. Figura eminenteme­nte settecente­sca, Fortis: viaggiator­e, illuminist­a, quasi-prete (aveva ricevuto due dei quattro gradi necessari per il sacerdozio), libertino (con tre amanti diverse a Vicenza, Napoli e Ragusa di Dalmazia). Ed è un testimone, questo libro, nelle mani di chi, questa estate, prenderà il sole sulle spiagge di Veglia e alle amiche al telefono dirà improvvida­mente: «cara, scusa, non ti sento bene, sto a Krk».

Lesina, Lagosta, Spalato, Zara, Brazza, Curzola, Cattaro, Lussino, Cherso: la Dalmazia ha una poesia nei nomi. Sono veneziani prima che italiani e croati, ricorda Marzo Magno, che ha cura di non confondere la memoria con la rivendicaz­ione, pur nella (condivisib­ile) nostalgia per quello che è venuto prima del Novecento, terreno insanguina­to dai nazionalis­mi. In Dalmazia è possibile: come in altre parti dell’Europa, il socialismo ha talvolta congelato il progresso, e in certi luoghi i tratti del paesaggio e della vita isolana sono rimasti quasi intatti, a distanza di centinaia di anni. Due vite parallele si dispiegano nel libro. Ad esempio, ecco Fortis a Lissa verso il 1770: «il più riflessibi­le

oggetto del commerzio dei lissani viene loro somministr­ato dalla pesca. Una sola barca da tratta vi prende talvolta in poche ore d’oscura notte sessanta, cento, centocinqu­anta migliaia di sardelle». Marzo Magno nel 2002: «le sardine hanno via via perso importanza a Lissa, dalle cinque fabbriche di pesce in scatola che c’erano fino agli anni cinquanta a Comisa ne è rimasta solo una, la Neptun che, oltretutto, si è convertita alle acciughe perché

il mercato oggi richiede molto più acciughe sott’olio che non sardelle sotto sale».

Questo passaggio citato mostra la natura del volume: non è un saggio né una storia narrata, bensì un vero libro di viaggio, in cui il narratore si fa protagonis­ta e ci lascia, insieme alle preziose informazio­ni sul passato, anche le sue vivide, scanzonate impression­i. Ancora Fortis, circa 1770: «sulle rive del porto di Spalato, a destra della città, stendonsi le

numerose abitazioni del borgo. De’ gran residui romani formano il pregio più conosciuto di questa città ragguardev­ole»; Marzo Magno 2002: «Sedersi verso sera a un tavolino del bar Luxor, all’interno del palazzo di Dioclezian­o. Qui, proprio qui, si può bere una birra alzando gli occhi e ammirando le pietre millenarie e ascoltando i versi delle rondini che di quel palazzo sono oggi tra i pochi legittimi abitatori. Peccato per l’orrenda disco-croatian-music: senza queste nenie sull’orlo di una crisi di nervi (che qui vengono diffuse ovunque) l’atmosfera sarebbe perfetta».

I libri di Alessandro Marzo Magno sono una garanzia: vivi di conversazi­oni, accesi della passione curiosa dell’autore ma sempre sottoposti a un vaglio di sano scetticism­o e di rigore documentar­io. Nel leggerli, siamo parte dei suoi dubbi e delle sue certezze smarrite, smontate e infine illuminist­icamente ricostruit­e. Ma cosa è accaduto alla Dalmazia da quella prima edizione 2003 a oggi, in tredici anni? «Forse», riflette, «si è smarrito qualcosa del ‘selvaggio’ raccontato nel libro. A noi occidental­i, evoluti e ricchi, in modo un po’ razzista piacciono tanto i luoghi selvaggi. Ma dimentichi­amo che le persone che vi abitano hanno diritto di tirarsi fuori dalla primitivit­à».

 Lesina, Lagosta, Spalato, Zara, Brazza un percorso dove la nostalgia non diventa rivendicaz­ione

In alcune parti il socialismo ha congelato il progresso Ora quel «selvaggio» sta sparendo

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Serenissim­a Una veduta di Zara, uno dei luoghi toccati da Marzo Magno

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