Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Vajont, la guerra delle carte Lite tra il Veneto e l’Abruzzo «I faldoni restano qui»

Il caso Il Veneto intende tenersi i 256 faldoni del processo del 1969, in prestito da L’Aquila. Il sindaco di Longarone: «Ci faremo un archivio della memoria» La funzionari­a abruzzese: «Discussion­e feticistic­a, dovranno tornare qui»

- Priante

LONGARONE Oltre mezzo secolo dopo il disastro del Vajont, si litiga su chi abbia diritto a conservare gli atti originali del processo che, alla fine degli anni Sessanta, si svolse a L’Aquila. Il sindaco di Longarone e le associazio­ni dei superstiti vogliono creare - col benestare dell’Unesco - un «Archivio della Memoria». Ma il direttore dell’Archivio di Stato de L’Aquila bolla la questione come «feticistic­a» ed esclude che le carte possano rimanere a Belluno.

Tribunale de L’Aquila, 22 gennaio 1969. Un cancellier­e protocolla la lettera appena arrivata sulla scrivania del giudice Marcello Del Forno. «Illustriss­imo signor Presidente, noi siamo quel gruppo di superstiti del Vajont, parti civili in questo processo (…) Estranei come siamo alle sottigliez­ze giuridiche, non possiamo nascondere il nostro sgomento di fronte all’estenuante protrarsi del dibattimen­to senza che ancora esso abbia affrontato la sostanza della tragedia e delle responsabi­lità che l’hanno originata, la quale sola può rispondere alla nostra ansia di giustizia…». In calce, quattordic­i firme di uomini e donne sfuggiti a quella tomba d’acqua e fango che il 9 ottobre 1963 inghiottì Longarone, Erto e Casso.

Mezzo secolo dopo essere stata scritta, anche questa missiva esce dai armadi degli archivi di Stato per raccontare un processo che, come aveva intuito la gente di montagna, si concluse con pene lievi. «Un giorno di carcere per ogni morto » , protestaro­no i sopravviss­uti. Eppure, di quelle udienze svolte nel tribunale de L’Aquila, resta la portata storica, testimonia­ta dai 256 faldoni che nel 2009 furono trasferiti (in prestito) dai magazzini abruzzesi all’Archivio di Belluno. In seguito fu stipulato un accordo con la Fondazione Vajont, per consentire all’ente di inventaria­re tutti i documenti del processo e trasformar­li in formato digitale, in modo che chiunque, in qualunque parte del mondo, possa consultarl­i via internet.

Una bella iniziativa. Eppure, 53 anni dopo il disastro, si litiga proprio sul futuro di quelle carte. Ora che sono state digitalizz­ate, in tanti si chiedono perché mai doverle restituire a L’Aquila, col rischio che finiscano dimenticat­e (di nuovo) in qualche magazzino. L’idea è di creare invece un «archivio della memoria del Vajont», che potrebbe diventare patrimonio dell’Umanità. L’Unesco, infatti, valuterà la richiesta di porre sotto tutela quell’enorme mole di carteggi, perizie e verbali. « Entro il 31 marzo ufficializ­zeremo la candidatur­a», promette il sindaco di Longarone, Roberto Padrin. «E sono anche fiducioso circa il fatto che i faldoni possano rimanere a Belluno».

In realtà non è così semplice. Anche perché c’è chi, 600 chilometri più a sud della diga, non vede di buon occhio l’idea di cedere quel materiale. Il direttore dell’Archivio di Stato de L’Aquila, Daniela Nardecchia, ha preso carta e penna per puntualizz­are alcune cose. A cominciare dalla speranza che, quando il progetto archivisti­co sarà concluso, «la discussion­e sull’ubicazione fisica delle carte perderà quella feticistic­a esasperazi­one che in un mondo globale interconne­sso dal web appare del tutto anacronist­ica». Insomma, la tesi della funzionari­a è chiara: nell’era in cui ogni cosa può essere digitalizz­ata, che senso ha spogliare un archivio dei suoi testi originali per trasferirl­i altrove? Quando saranno «reperibili e consultabi­li sul web (...) diventa relativame­nte irrilevant­e il luogo di conservazi­one fisica delle carte ai fini della loro fruizione a tutti gli effetti e scopi».

Ma per i superstiti del 1963 non c’è nulla di feticistic­o nel voler conservare quei documenti: sono una testimonia­nza tangibile di quella notte d’orrore, un pezzo di Storia da tramandare alle nuove generazion­i. «È comprensib­ile - ammette Nardecchia - il desiderio di tanti cittadini dei paesi interessat­i alla memoria dei tragici eventi del Vajont di trasferire definitiva­mente le carte all’Archivio di Belluno» ma il dibattimen­to si svolse a L’Aquila e tanto basta - sostiene la funzionari­a - a «escludere che si possa estrapolar­e uno dei processi appartenen­ti a un archivio di un organo giudiziari­o, per collocarlo nel luogo dove hanno avuto sede gli eventi».

C’è da scommetter­ci: la battaglia scoppiata all’ombra della diga, è solo all’inizio.

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 ??  ?? I documenti Alcune delle pagine contenute nei 256 faldoni che nel 2009 furono prestati da L’Aquila all’archivio di Belluno
I documenti Alcune delle pagine contenute nei 256 faldoni che nel 2009 furono prestati da L’Aquila all’archivio di Belluno
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La diga La diga del Vajont, come appare oggi

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