Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
«Sì, mollai quel ceffone»
Mio
figlio le ha prese, di santa o prosaica ragione non so, ma quando era alle elementari le ha prese.
Mio figlio le ha prese, di santa o pros a i ca r agione non so, ma quando era alle elementari le ha prese. Ora è un giovane uomo e non mi sembra traumatizzato. Chi gliele dava era il maestro Gianni Paganin, un asiaghese di vecchio ceppo montanaro, socialista nenniano, a quel tempo delegato provinciale della Uil, uno uomo tutto di un pezzo che si sentì morire quando nel 2003 due carabinieri bussarono a casa sua per consegnarli un avviso di comparizione. Paganin l’ho rivisto ieri. È un signore di 77 anni al quale brillano ancora gli occhi di indignazione nel raccontare la sua storia così simile e così
diversa da quella della maestra
Giovanna Priante di San Gottardo di Zovencedo di cui si parla in questi giorni: la maestra di Zovencedo accusata di violenze sui bambini ha una buona parte dei genitori della sua, il maestro Paganin ne aveva contro tre su diciassette. Ma tanto bastò. La collega inoltre è stata denunciata dalle maestre mentre Paganin aveva il corpo insegnante dalla sua, infine qua c’e una materna là c’era una elementare e non è cosa da poco.
Non so come finirà per la Priante, ma so come finì per il maestro Paganin. Il giudice lo chiamò e gli chiese cosa pensasse delle punizioni corporali. «Sono vietate dalla legge» rispose il maestro. « Lei le usa?». «No». «Lei è accusato di averle usate almeno in un caso». Paganin venne prosciolto in istruttoria. Subito dopo il provveditorato lo trasferì per «incompatibilità ambientale» e il bollo del «mostro» lo seguì fino alla fine.
Dopo un anno diede le dimissioni e se ne andò in pensione. Paganin era un vecchio leone, aveva un anno quando scoppiò la seconda guerra mondiale e ne compiva cinque anni quando finì, forse ha la sua importanza, forse no, di certo la sua scuola materna fu la guerra. Insegnò per quaranta anni e da vecchio leone finì i suoi giorni sfiancato dalla modernità. I suoi alunni lo ricordano con affetto, a Breganze una classe di ormai cinquantenni ogni anno lo invita a cena. Il vecchio è in pensione, fuori dai giochi, ma può ancora insegnare qualcosa.
«Non si alzano le mani sui bambini, alla scuola materna meno che mai, eppure ci sono dei momenti in cui la conflittualità tra insegnante e bambino deve avere un esito, perché comunque ce l’ha, il peggiore è quello in cui il docente abbozza e cede, in tal caso diventa ingiusto, danneggia il bambino e mina l’equilibrio della scolaresca in quanto la disciplina attiene all’apprendimento delle nozioni non meno della formazione civile del futuro uomo adulto. Se si rinuncia a insegnare le regole della convivenza sociale si riconsegna il bambino alla soggettività egocentrica del nucleo famigliare. Quel bambino sarà un cattivo adulto. I segni del voglio quindi posso sono già presenti in tutta la società, la società del desiderio e della frustrazione. Certo che sì, quella volta mollai un ceffone». A quel tempo i carabinieri non piazzavano le telecamere in aula eppure la sensibilità genitoriale non era meno vigile, forse solo meno pervasiva di adesso. In maestro Gianni Paganin ammise l’episodio.
Il giudice si complimentò con lui e lo prosciolse. La sua didattica ne uscì bene, un po’ anzianotta ma efficace, in ogni caso ammissibile. Di fatto accompagnava le lezioni con qualche espressione fisica, i suoi erano rabbuffi, solleciti di mano, sottolineature, uno stile insomma con cui il maestro Paganin risolveva a suo vantaggio gli inevitabili duelli con gli alunni. Lo schiaffo certificato, usato su un bambino abituato a fare la popò con la porta del bagno aperta, e se non era aperta non la faceva e se non la faceva erano strilli, venne dichiarato ammissibile. Di inammissibile rimase lui, la sua idea antimoderna di una autorità magistrale non condivisa, non pattizia, quella in cui le famiglie riconoscono e rispettano l’autonomia professionale del territorio docente, i valori extra-familiari. Gliela fecero pagare. « Attualmente i genitori esercitano un diritto di sindacato anche sulle forme dell’insegnamento, vogliono un insegnate ‘a la carte’, lo vogliono commesso, prolungato esecutore delle loro convinzioni famigliari. Non è da ieri che siamo dequalificati. Nel 1950 io prendevo 36 mila lire al mese. La Repubblica nata dalla Resistenza punì una scuola megafono del fascismo, con gli insegnanti la gente scoprì che il prete non aveva fede, il medico condotto non curava e il farmacista si arricchiva. Da allora è iniziata la ritirata del corpo insegnante. Ora si insegna nel terrore dell’inquisizione famigliare, pesa l’ipocrisia ministeriale, la corrività dei dirigenti scolastici pronti ad adeguarsi al minimo stormir di fronda. Chi me lo fa fare, si chiedono gli insegnanti. Per paura si girano dall’altra parte, si astengono, in sostanza fuggono il conflitto dell’insegnamento tradendo così il loro ministero».