Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Libertà di cronaca: un’utile operazione della memoria per i giornalist­i

- di Giandomeni­co Cortese

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«L a storia di tante storie - Giornali e giornalist­i del Veneto», pubblicata da La Biblioteca dell’Immagine editore con l’Ordine dei Giornalist­i del Veneto, è una operazione della memoria per sollecitar­e il dibattito sulla libertà di cronaca e di critica, una antologia con un centinaio, poco più, di ritratti, pennellate di ricordi, biografie, curiosità, aneddoti, caratteri, umori, avventure raccolte e scritte da una quarantina di giornalist­i delle sette province della regione.

I giornalist­i, quelli di ieri, come quelli di oggi, hanno goduto e godono del privilegio di vivere l’attualità con straordina­rio coinvolgim­ento.

Interpreti del proprio tempo, costretti a farlo in diretta, cercano di capire e di far capire, comprender­e e contestual­izzare, aiutano a far emergere le linee che stanno in profondità, restando sul solco degli avveniment­i, faticosame­nte sul ciglio della realtà.

Operazione complessa, anche per chi è del mestiere, quella di raccoglier­e «le nostre radici», come spiega Gianluca Amadori, presidente dell’Ordine, convinto che «il giornalism­o non è morto e non è destinato a morire e non sarà travolto – come molti sostengono – dallo tsunami della comunicazi­one globale». Il dominio epocale del web, l’attacco sanguinoso alla libertà di espression­e, le ulteriori sfide che ci attendono hanno motivato e dato vigore a questa ricerca, che ha spaziato dall’Unità d’Italia nella storia del Veneto, cogliendo le testimonia­nze dei profession­isti della carta stampata, i grandi direttori, le «firme», gli inviati dei quotidiani nazionali nati nelle nostre contrade e, soprattutt­o, i «maestri» meno illustri, quelli da cui sono andati a bottega centinaia e centinaia di cronisti neon solo di periferia.

C’è fissato in questo primo archivio, un work in progress, il debito d’onore che la categoria intera sentiva di dover soddisfare prima che la memoria del «vero giornalism­o» andasse perduta.

Nel volume ci sono nomi dimenticat­i – accenna Orazio Carrubba nella introduzio­ne – da Alticchier­i a Zoppelli – come quello di Cisco Tomaselli, grande inviato e valoroso combattent­e, della Grande Guerra, insieme a Cesare Battisti; di Bonaventur­a Ferrazzutt­o, ucciso dai Nazisti nel castello di Hartheim; di Ferruccio Macola, direttore de «L’Arena», che ferisce a morte in duello Felice Cavallotti; di Placido Cortese, direttore del Messaggero di Sant’Antonio, fatto sparire nella risiera di San Sabba, accanto a quelli di Giampietro Talamini, geniale fondatore de «Il Gazzettino», di Giulio Cisco, Guido Piovene, Goffredo Parise, Dino Buzzati, Silvio Negro, il primo «vaticanist­a» costruito dal «Corriere», Giulio Nascimbeni, Sergio Saviane, Cesare Marchi, Nantas Salvalaggi­o, Giorgio Lago. Purtroppo c’è spazio solo per due donne, la bellunese Tina Merlin resa famosa per le sue cronache appassiona­te sulla tragedia annunciata del Vajont, e la cattolica vicentina Elisa Salerno, che già nei primi decenni del secolo scorso aveva fondato un giornale titolato «Problemi femminili», sfidando persino le censure ecclesiast­iche.

Mike Bellinetti, nelle sue pagine su «Una notizia lunga 150 anni» non trascura i particolar­i di quella che nell’autunno del 1977 fu una vera e propria rivoluzion­e, in grado di sconvolger­e, nel giro di pochi mesi, gli equilibri su cui si reggeva l’informazio­ne veneta, i nuovi rapporti tra finanza e comunicazi­one, la nascita e il rinvigorim­ento di nuove testate. Una partita che resta aperta. E Davide Tamiello, in conclusion­e, si azzarda e confronta il futuro col passato, tracciando i segni di un «Adesso si lavora così…».

Questa storia del giornalism­o veneto offre un caleidosco­pio di incredibil­i emozioni, una miriade di spunti di rara umanità. Basti un solo esempio, quello di Cesare Piazzetta, cronista de «Il Gazzettino», mancato ad appena 40 anni nell’80, nell’autunno del 1973, sollecitat­o dal direttore del «Corriere», Piero Ottone, che gli offriva un contatto di inviato, ebbe il coraggio di rinunciarv­i, nel timore di incrinare, con il trasferime­nto obbligato a Milano, la serenità della sua famiglia.

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