Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Venezia e il Porto off shore realtà o solo un sogno? Comunque candidatur­a debole

- Giuseppe Tattara Docente a Ca’ Foscari

Il presidente della Autorità Portuale ha rilanciato la proposta del porto d’altura per offrire un servizio efficiente alle imprese. I tempi dell’iter sono lunghi, i finanziato­ri forse ci sono, ma la loro identità rimane celata.

La candidatur­a di Venezia a questo progetto appare debole dato che il porto di Venezia ha perso progressiv­amente posizioni rispetto ai porti vicini, anche al netto della caduta delle importazio­ni di petroli che lo ha penalizzat­o. Venezia ha perso, come quota dal 2009 al 2015, il 13% suTrieste, il 30% su Ravenna, il 70% su Capodistri­a.

Si dice che la situazione attuale non riflette le potenziali­tà del porto di Venezia, che stanno nel suo entroterra, e il porto d’altura sarà il centro di una futura rete distributi­va efficiente.

Un buon progetto portuale non si misura sui fondali e le banchine, ma sulla capacità di intercetta­re la domanda.

Parte delle merci, dice il presidente della Autorità Portuale, dal porto di altura andranno via acqua a Ravenna, Chioggia, Mantova e si creerà a Marghera un retroporto con lavorazion­i industrial­i leggere. Tuttavia le imprese venete, legate al made in Italy, sono da sempre poco interessat­e dall’operare a filo banchina. Una decisa opposizion­e al progetto viene dai presidenti degli interporti veneti di Padova e Verona. La domanda locale, comunque, assorbirà una piccola parte della capacità del nuovo porto e il progetto ha senso se si riesce ad operare per la Germania. In Germania c’è la regione manufattur­iera più forte d’Europa ed è l’unico paese che ha un saldo commercial­e bilanciato con la Cina, e quindi gli operatori di quel paese oltre a scaricare i container li caricano e li rispedisco­no in Asia. Il ritorno carico è garanzia della economicit­à del trasporto.

A Venezia non basta fare delle banchine, per altro vicino a porti che hanno già adeguati fondali e potenziali­tà di crescita, ma bisogna convincere gli operatori e gli importator­i del centro Europa a portarvi le loro merci in entrata e in uscita. Si può fare, ma il progetto del porto d’altura nasce gravato di varie tare. Un alto costo iniziale, un alto costo di gestione (gestire personale in una piattaform­a in mare costa molto. E’ necessario un transhipme­nt che in altri porti non è richiesto), e una infrastrut­tura ferroviari­a vetusta, completame­nte da ridisegnar­e.

I container arrivati al porto d’altura verranno sbarcati in modo semiautoma­tico nelle

“mamavessel”. Navi che nella stragrande maggioranz­a entreranno in laguna e si dirigerann­o a Marghera attraverso il canale dei Petroli, navigheran­no in convoglio con navi commercial­i e, in caso di alta marea, attraverse­ranno la “conca di navigazion­e” di Malamocco. Dovranno scaricare le decine di migliaia di container che arrivano su di una nave nell’arco di un paio di giorni. Venezia ha tre giorni di nave in meno rispetto al nord Europa durante i quali deve scaricare i container, fare i controlli (dogana, sanità) e caricarli sui treni. Rispetto ad altri scali italiani non ha nessun margine temporale di vantaggio.

Certo se ci fosse un armatore privato che ci mettesse dei capitali e gestisse il transhipme­nt in altura sarebbe un bel segnale e sarei lieto di ricredermi. Ma finora non si è visto.

A mio parere Venezia farebbe meglio a puntare sulla gestione efficiente di un porto sostenibil­e, di medie dimensioni.

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