Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Da Padova primo studio per curare il cancro al seno delle giovani
le soluzioni più appropriate». «Non è mia natura sottrarmi al confronto — dice Luca Coletto, assessore alla Sanità — niente in contrario ad incontrare i sindacati. Però tengo a precisare che nel Veneto la legge 194 è rispettata in ogni suo aspetto. Non ho notizia di una donna che abbia protestato per non avere ricevuto la prestazione richiesta. Per quanto concerne i sanitari che oppongono obiezione di coscienza è un loro diritto, non entro nel merito di una scelta etica e morale». La Cgil sostiene però di aver assistito, solo tra dicembre e gennaio, almeno dieci donne che non riuscivano a ottenere l’IVG in una struttura pubblica: o perché non c’era più posto o perché dovevano attendere oltre un mese. Risponde con 1 milione di euro di rifinanziamento dei consultori pubblici (108 sedi per 21 équipe) e 325mila per i rimborsi ai 28 privati l’assessore al Sociale, Manuela Lanzarin, che ha creato un gruppo di lavoro con i responsabili per mappare le criticità e risolverle. «Ho anche posto il tema della difficoltà di abortire e rileveremo le zone più critiche — aggiunge Lanzarin —. Ben venga un tavolo di confronto per capire come evolve la situazione».
Resta un dubbio: perché tanti medici fanno obiezione? E poi: siamo sicuri che chi obietta nel pubblico non pratichi l’IVG in privato? «No, chi obietta lo fa per retaggi del passato, del periodo buio degli aborti clandestini — rivela il professor Antonio Chiantera, presidente dell’Associazione ostetrici ginecologi ospedalieri italiani (Aogoi) — è un ricordo che offende e che non si ha il coraggio di superare. Il 26%-28% di aborti sono ripetuti, cioè riguardano donne che lo fanno due o tre volte. Se lo Stato, che garantisce l’intervento gratuito, facesse lo stesso con la contraccezione più efficace, la spirale o l’impianto sottocutaneo, abbatterebbe il numero di aborti e relativi costi. Ogni IVG costa al sistema sanitario 1600/1800 euro».
Parte da Padova, «sponsorizzato» dall’Università e finanziato con 10 milioni di euro dalla multinazionale Merck, il primo studio al mondo che valuterà l’efficacia di anticorpi monoclonari per contrastare il tumore al seno di tipo «triplo negativo», non trattabile con terapie ormonali e biologiche, ma solo con la chemioterapia. Alla quale però il 40% delle donne malate non risponde. La ricerca, coordinata dallo Iov, partirà all’inizio del prossimo mese coinvolgerà 40 ospedali italiani e diverse Oncologie della rete veneta e includerà 350 pazienti. «Il tumore triplo negativo rappresenta il 15% dei casi di neoplasia mammaria — spiega il professor Pierfranco Conte, direttore dell’Oncologia Medica 2 dello Iov — colpisce le giovani, spesso si associa a rischio familiare di alterazioni genetiche e attacca maggiormente polmoni e sistema nervoso centrale. Nel Veneto il tasso di guarigione dal cancro al seno è salito al 90% (44mila nuovi casi all’anno, ndr), però questo tipo è particolarmente aggressivo, perchè paralizza la reazione del sistema immunitario, che lo riconosce ma non può eliminarlo». Gli anticorpi monoclonali anti-PD-L1, al centro dello studio «Brave», agiscono sui freni inibitori del sistema immunitario, che può dunque iniziare a combattere le cellule tumorali sfuggite alla chemioterapia.