Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Da gennaio ad aprile sono arrivate 810 richieste di patrocinio da parte di profughi
la concessione dello status di rifugiato a un profugo omosessuale perché, se tornasse in Camerun, «non potrebbe esprimere liberamente la propria identità sessuale». Come prova ha portato anche la dichiarazione scritta del fidanzato, conosciuto in Veneto.
Naturalmente non sono solo i gay ad appellarsi ai giudici. Con una sentenza del 5 febbraio, la Terza Sezione ha concesso lo status a un profugo tenendo conto del fatto che «in Italia è ben integrato, sta studiando l’italiano e ha un lavoro che diventerà a tempo indeterminato una volta regolarizzata la sua posizione».
Il più delle volte, per veder ribaltato il niet delle Commissioni basta dimostrare che il migrante proviene da zone «a rischio». Con sentenza del 15 marzo il giudice Anita Giuriolo ha concesso la protezione a un nigeriano nonostante le sue dichiarazioni apparissero «generiche, poco attendibili, vaghe e anche contraddittorie». E questo sulla base del fatto che «Boko Haram starebbe pianificando di allargare la propria minaccia terroristica all’interno del Paese» e quindi «l’incolumità del ricorrente sarebbe minacciata per la sua sola presenza in Nigeria». Simile la sentenza del 17 febbraio: la commissione faceva notare che il richiedente proveniva da una regione del Sud del Mali «che non risulta interessata dal conflitto armato che sta invece interessando il Nord», ma per il giudice non si può costringere un profugo a «stabilirsi in una regione del proprio Paese diversa da quella in cui corre rischi effettivi» e quindi è giusto concedergli la protezione.
Stesse persone, stesse storie, ma decisioni opposte. Se ne ricava che le Commissioni hanno paletti molti più rigidi rispetto al tribunale. E la questione del diritto d’asilo rischia di diventare una grana di difficile soluzione. Il tutto mentre gli scafisti continuano a portare sulle nostre coste migliaia di disperati.