Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
«Sconti ai negozi e spazi aperti per vincere il degrado urbano» Ostanel, proposte per via Piave: coinvolgere i residenti
MESTRE Il cul de sac dello sbocco di via Dante, i sottopassaggi pedonali e del tram, i cortili terra di nessuno, i giardini mal illuminati ideali piazze di spaccio, la Vempa che fa di via Aleardi un vicolo cieco e via Cappuccina che finisce in una rotonda delimitata da blocchi di plastica e un camminamento pedonale stretto tra grate. Se l’area che gravita intorno alla stazione di Mestre è diventata una periferia sociale che comunica insicurezza è anche colpa dell’architettura urbana. «L’urbanistica bisogna farla con i piedi, andando a piedi», dice Elena Ostanel citando il professore Bernardo Secchi.
Ostanel è urbanista dello Iuav, coordina il Master di Rigenerazione urbana e innovazione sociale inaugurato quest’anno e ha studiato con la sociologa Claudia Mantovan due casi esemplari di luoghi cittadini centrali e residenziali che, a contatto con la vicina stazione, si degradano in terre di conflitto tra vecchi residenti, nuovi abitanti, immigrati e detessuto linquenti: Mestre e Padova. Da quella ricerca lo scorso anno è nato il libro «Quartieri contesi», che suggerisce come cambiare gli spazi pubblici e privati della città prendendo come centro della progettazione il sociale. Perché da sole le politiche securitarie e il pugno di ferro non risolvono.
«Le stazioni non sono quartieri, sono aree ai margini, periferie dentro la città — osserva — Si sono specializzate solo nelle funzioni del terziario e non nei servizi alla residenza: ci sono agenzie di viaggio e fast food che allo 8 di sera chiudono, non negozi di vicinato. Sono aree che si attraversano, non si vivono. La pianificazione urbanistica non è andata di pari passo con l’analisi sociale. E bisogna farla camminando, vedendo dove il pedone passa: vicoli ciechi, spazi chiusi, un’architettura in degrado e senza manutenzione giocano un ruolo nella percezione della sicurezza».
Il primo passo è rendere fruibile tutti gli spazi pubblici. «In maniera continuativa, giorno e sera», dice. Torino ha sperimentato a San Salvario due soluzioni interessanti: ha chiesto ai residenti italiani e stranieri come attrezzare i giardini (e sono comparse le aree barbecue per i pic nic) e ha istituito le Case di Quartiere gestite dal privato sociale: ospitano corsi di cucina, computer, ballo, musica per tutte le età e tutte le etnie. «Con la guida pubblica si possono coinvolgere popolazioni diverse nel decidere come attrezzare parchi, piazze marciapiedi — spiega Elena Ostanel — Riportare l’attenzione sui luoghi per far sì che siano presidiati dagli abitanti e che ci sia controllo sociale». La sfilza di negozi chiusi non aiuta. «Il Comune può invogliare la riapertura di negozi di vicinato, e non solo di transito, con sgravi su Tasi e Imu e accordi per affitto calmierato o comodato per i primi mesi — conclude la docente — Siamo in ritardo ma non è impossibile rimediare».