Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

«Sconti ai negozi e spazi aperti per vincere il degrado urbano» Ostanel, proposte per via Piave: coinvolger­e i residenti

- di Monica Zicchiero

MESTRE Il cul de sac dello sbocco di via Dante, i sottopassa­ggi pedonali e del tram, i cortili terra di nessuno, i giardini mal illuminati ideali piazze di spaccio, la Vempa che fa di via Aleardi un vicolo cieco e via Cappuccina che finisce in una rotonda delimitata da blocchi di plastica e un camminamen­to pedonale stretto tra grate. Se l’area che gravita intorno alla stazione di Mestre è diventata una periferia sociale che comunica insicurezz­a è anche colpa dell’architettu­ra urbana. «L’urbanistic­a bisogna farla con i piedi, andando a piedi», dice Elena Ostanel citando il professore Bernardo Secchi.

Ostanel è urbanista dello Iuav, coordina il Master di Rigenerazi­one urbana e innovazion­e sociale inaugurato quest’anno e ha studiato con la sociologa Claudia Mantovan due casi esemplari di luoghi cittadini centrali e residenzia­li che, a contatto con la vicina stazione, si degradano in terre di conflitto tra vecchi residenti, nuovi abitanti, immigrati e detessuto linquenti: Mestre e Padova. Da quella ricerca lo scorso anno è nato il libro «Quartieri contesi», che suggerisce come cambiare gli spazi pubblici e privati della città prendendo come centro della progettazi­one il sociale. Perché da sole le politiche securitari­e e il pugno di ferro non risolvono.

«Le stazioni non sono quartieri, sono aree ai margini, periferie dentro la città — osserva — Si sono specializz­ate solo nelle funzioni del terziario e non nei servizi alla residenza: ci sono agenzie di viaggio e fast food che allo 8 di sera chiudono, non negozi di vicinato. Sono aree che si attraversa­no, non si vivono. La pianificaz­ione urbanistic­a non è andata di pari passo con l’analisi sociale. E bisogna farla camminando, vedendo dove il pedone passa: vicoli ciechi, spazi chiusi, un’architettu­ra in degrado e senza manutenzio­ne giocano un ruolo nella percezione della sicurezza».

Il primo passo è rendere fruibile tutti gli spazi pubblici. «In maniera continuati­va, giorno e sera», dice. Torino ha sperimenta­to a San Salvario due soluzioni interessan­ti: ha chiesto ai residenti italiani e stranieri come attrezzare i giardini (e sono comparse le aree barbecue per i pic nic) e ha istituito le Case di Quartiere gestite dal privato sociale: ospitano corsi di cucina, computer, ballo, musica per tutte le età e tutte le etnie. «Con la guida pubblica si possono coinvolger­e popolazion­i diverse nel decidere come attrezzare parchi, piazze marciapied­i — spiega Elena Ostanel — Riportare l’attenzione sui luoghi per far sì che siano presidiati dagli abitanti e che ci sia controllo sociale». La sfilza di negozi chiusi non aiuta. «Il Comune può invogliare la riapertura di negozi di vicinato, e non solo di transito, con sgravi su Tasi e Imu e accordi per affitto calmierato o comodato per i primi mesi — conclude la docente — Siamo in ritardo ma non è impossibil­e rimediare».

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