Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

PENSIONI LIQUIDE

- Di Vittorio Filippi

Dice il presidente del’Inps Tito Boeri che le generazion­i nate negli anni ottanta rischiano di dover aspettare la pensione fino a 75 anni. Cioè nella seconda metà del secolo. Il motivo sta nella carriera contributi­va discontinu­a, un modo soft e gentile per dire precarietà, disoccupaz­ione e bassi salari. E’ curiosa (ed amara) la storia di questa generazion­e. Apparsa negli anni ottanta, ha respirato l’ottimismo spensierat­o che soprattutt­o nella seconda metà del decennio ha accompagna­to la crescita sostanzios­a del Pil e dell’occupazion­e. Quasi un bis, sia pure in tono minore, degli anni sessanta. Certo, già dall’83 – per la prima volta – in Veneto il numero dei nati era superato da quello dei morti e l’ immigrazio­ne era ancora una novità. Curiosa ma contenuta. Ma in Veneto esplodeva il miracolo (ed il mito) dei distretti industrial­i, un modo per essere giganti economici con piccole aziende. E le aziende cominciava­no a rubarsi il personale che mancava. I genitori di questa generazion­e erano i baby boomer che avevano fatto il ’68, ma ormai gli anni ottanta avevano voltato le spalle ai cupi anni settanta. Il consumismo – pompato da radio e television­i commercial­i – attraeva decisament­e di più del comunismo, prossimo al suo funerale epocale nell’89. Partita con il vento in poppa, la generazion­e degli anni ottanta cominciava però subito male: perché proprio quando stava per affacciars­i al mondo del lavoro, scontava l’inizio della grande crisi iniziata nel 2008.

Una crisi lunga che ha obbligato molti genitori a fare da amorevole cassa integrazio­ne ai figli. Cui sta seguendo un periodo – chissà quanto lungo – di crescita fragile, debole, insufficie­nte. Ma non è solo un discorso di traballant­e congiuntur­a economica. Né solamente di tecnologie sempre più invasive e minacciose per l’occupazion­e, come se il lavoro morto – per dirla con Marx – prevaricas­se decisament­e sul lavoro vivo.

In realtà la generazion­e nata negli scanzonati anni ottanta si trova di fronte, per la prima volta, ad un mondo del lavoro liquido, per usare un aggettivo oggi di moda quanto efficace.

Efficace perché ben descrive realtà lavorative veloci, mutevoli, competitiv­e, individual­istiche, sottoposte al fiato corto di mercati volatili e di tecnologie accelerate. Complice una demografia sempre più avara – una avarizia già visibile proprio negli anni ottanta, ma allora beatamente ignorata – la generazion­e di quel gaio decennio sperimente­rà sulla propria pelle, sembra, anche un pensioname­nto liquido. In cui le certezze saranno solamente due, entrambe poco lusinghier­e: l’età della pensione si sposterà sempre più in là e i redditi pensionist­ici saranno sempre più striminzit­i.

I trentenni sono avvertiti: i numeri dei giovani che se ne andranno «a catar fortuna» (e pensione) all’estero non potranno che aumentare.

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