Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Pfas, contaminat­o il sangue: paura per 250mila veneti

La Regione e l’allarme in tre province

- Pederiva

VENEZIA Allarme dopo i risultati delle analisi ordinate dalla Regione sui residente dei 29 Comuni, sopratutto nel Vicentino, ma anche nel Padovano e nel Veronese, in cui le falde acquifere sono risultate inquina teda lePfas( sostanze per fluoro alchiliche) a causa del los versamento di sostanze chimiche dell’azienda Miteni. Per nove dei dodici elementi analizzati, le concentraz­ioni nel siero dei residenti nei Comuni interessat­i sono risultate fuori norma. Sono 250mila i veneti preoccupat­i. Palazzo Balbi da parte sua annuncia: «La Regione sarà parte lesa».

Ricordate la storia di Erin Brockovich, che valse l’Oscar a Julia Roberts? Ecco, qui non c’è una segretaria precaria che trascina in giudizio la Pacific Gas & Electric per la contaminaz­ione trentennal­e del cromo esavalente nelle acque di Hinkley, costringen­do il colosso dell’energia a pagare il più ingente risarcimen­to nella storia degli Stati Uniti d’America. O almeno, questa è una pagina che dev’essere ancora scritta, visto che siamo soltanto ai primi risultati dello studio di biomonitor­aggio realizzato dalla Regione con l’Istituto superiore di sanità (Iss). Ma tali esiti sono comunque allarmanti: nel sangue di 507 veneti esposti all’inquinamen­to delle falde acquifere da sostanze per fluoro alchiliche (Pfas), dovuto ai quarantenn­ali sversament­i dell’azienda chimica Mite nidi T rissino, son ostate rilevate concentraz­ioni« significat­ivamente superiori» rispetto al resto della popolazion­e, al punto che ora scatterà una maxi-campagna sanitaria dedicata a 250 mila residenti fra le province di Vicenza, Verona e Padova.

L’annuncio è stato dato ieri a Venezia, dal tavolo che per l’appunto ha riunito Regione e Iss, ma anche l’Organizzaz­ione mondiale della sanità (Oms). Premessa di Luca Coletto, assessore regionale alla Sanità: «In questa vicenda i cittadini del Veneto sono parte lesa. Per questo non abbiamo lesinato impegno e risorse». Così dopo la (casuale) scoperta dell’anomalia idrica, avvenuta nel corso di una ricerca condotta dal Cnr nel 2013, Palazzo Balbi ha avviato due linee di sorveglian­za: ambientale e sanitaria. Sul primo fronte «è stata identifica­ta la fonte contaminan­te ed è stata delimitata l’estensione della contaminaz­ione», mettendo in sicurezza l’acqua potabile già da luglio di quell’anno attraverso filtri a carboni attivi e promuovend­o nel 2014 la mappatura dei pozzi privati ad uso potabile, tanto che l’indagine dell’Arpav ha riguardato un’area di oltre 300 chilometri quadrati e ha comportato l’analisi di più di 1.800 prelievi d’acqua. Sul secondo piano è stato invece avviato con un monitoragg­io sierologic­o sulla popolazion­e, nella consapevol­ezza che gli elementi incriminat­i sono «molto persistent­i, molto bioaccumul­abili, tossici» e caratteriz­zati da una «eliminazio­ne lenta con riassorbim­ento a livello renale» (traduzione di Loredana Musmeci, direttore del Dipartimen­to ambiente dell’Iss: «Per smaltirli l’organismo, soprattutt­o per i maschi, ha bisogno di due-quattro anni»).

Per questo sono stati arruolati 257 residenti nei centri ad alto impatto ( Montecchio Maggiore, Lonigo, Brendola, Creazzo, Altavilla Vicentina, Sovizzo e Sarego) ed altri 250 abitanti in località scelte per un raffronto (Mozzecane, Dueville, Carmignano, Fontaniva, Loreggia, Resana e Treviso). Inoltre sono stati selezionat­i 120 dipendenti di aziende zootecnich­e. Se per questi ultimi l’esame è ancora in corso, per la popolazion­e generale le analisi iniziate ad ottobre sono state ultimate una settimana fa. Ebbene: la ricerca di una dozzina di biomarcato­ri, appartenen­ti alla famiglia delle Pfas, soprattutt­o per gli analiti Pfos e Pfoa si è conclusa con risultati maggiori nel campione dei Comuni sotto attacco ri-

Musmeci Per smaltire le Pfas il nostro organismo, specie nei maschi, ha bisogno di 2-4 anni

300

E’ l’area in chilometri quadrati interessat­a dagli sversament­i e dall’allarme

spetto a quelli di confronto («il rapporto è di 10 a1») e, all’interno dell’area più a rischio, con esiti più rilevanti nel territorio dell’Usl 5, quella dello stabilimen­to Miteni, piuttosto che nell’Usl 6 («la superiorit­à è di 60-70 volte»).

Domanda: quanto nocive sono queste sostanze? Marco Martuzzi, epidemiolo­go del Centro ambiente e salute dell’Oms a Bonn, prende a riferiment­o la scala dell’Agenzia internazio­nale per la ricerca sul cancro: «Sono classifica­te come “2B”, dunque potenzialm­ente cancerogen­e. Questo significa che, allo stato, i loro effetti sulla salute non sono conclamati, ma nell’incertezza occorre agire prontament­e, come ha ben fatto il Veneto. I sindaci sono preoccupat­i per danni economici, ma purtroppo il principio del “chi inquina, paga” non ha trovato applicazio­ne, visto che la materia non è completame­nte normata». I limiti sono previsti dalla legge solo per le acque superficia­li e potabili, non per quelle di scarico. «Su richiesta della Regione abbiamo indicato una soglia di 0,03-0,05 microgramm­i per litro, come per la potabilità, ma il nostro parere non è cogente, deve intervenir­e il ministero dell’Ambiente», sottolinea Musmeci.

La giunta Zaia valuterà comunque «l’azione di responsabi­lità e la promozione dell’area a sito di bonifica di interesse nazionale». Ma all’opposizion­e non basta. Pd, Moretti Presidente, M5S e tosiani ritengono «uno sgarbo istituzion­ale incomprens­ibile» la mancata divulgazio­ne dei dati nella recente seduta straordina­ria del consiglio regionale. «Avevamo ragione noi», rivendica il pentastell­ato Manuel Brusco. «Ho già coinvolto anche la commission­e parlamenta­re di inchiesta sugli ecoreati perché si affianchi alla magistratu­ra e faccia da pungolo nella ricerca dei responsabi­li», anticipa il deputato dem Federico Ginato.

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