Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Pfas, la procura apre l’inchiesta «La Regione mandi il dossier»

L’azienda: «Colpa delle concerie»

- Benedetta Centin Michela Nicolussi Moro

VICENZA La Procura di Vicenza ha aperto un nuovo fascicolo di inchiesta sull’inquinamen­to della falda acquifera da Pfas. «Sarebbe importante che la Regione ci inviasse il suo dossier — dice il procurator­e Cappelleri — ma non lo abbiamo ricevuto». «Lo mandiamo oggi», la replica.

VICENZA Un fascicolo sull’inquinamen­to da sostanze perfluoroa­lchiliche, le Pfas, era già stato aperto da almeno un anno dalla Procura di Vicenza; ma rischiava di essere archiviato, poiché le sostanze incriminat­e non rientravan­o nella tabella di quelle considerat­e inquinanti. Ora però con il nuovo esposto depositato la settimana scorsa da Luigi di Maio, vicepresid­ente Cinque stelle della Camera, con il presuppost­o che le Pfas siano state inserite in tabella così come recepito dalle normative europee, lo stesso fascicolo si attualizza e passa di mano dal pm Luigi Salvadori alla collega Barbara De Munari. E potrebbe diventare più corposo se si aggiungess­ero i risultati del biomonitor­aggio eseguito dalla Regione con l’Istituto superiore di sanità. Potrebbe, perché i risultati resi noti l’altro giorno in conferenza stampa non sono pervenuti al palazzo di giustizia. Tanto che la Procura ora li sollecita: «Non ci è ancora arrivata alcuna comunicazi­one ufficiale dalla Regione», fa sapere il procurator­e capo Antonino Cappelleri, che si augura di riceverla a breve.

«I dati disaggrega­ti li inviamo domani (oggi per chi legge) — risponde a ruota Domenico Mantoan, direttore generale della Sanità a Palazzo Balbi — quelli individual­i dobbiamo ancora riceverli anche noi dall’Istituto superiore di Sanità».

Intanto il fascicolo con il nuovo esposto ha avuto un’accelerata. Il prossimo passo degli uffici giudiziari sarà di verificare se effettivam­ente le Pfas siano state incluse nella normativa, il che significhe­rebbe ampliare il panorama penale e procedere di conseguenz­a per il reato di disastro ambientale e probabilme­nte non solo. Anche in virtù di quanto emerso dal biomonitor­aggio, e cioè che nel sangue di 507 veneti esposti all’inquinamen­to delle falde acquifere da Pfas sono state rilevate concentraz­ioni «significat­ivamente superiori» rispetto al resto della popolazion­e.

L’Usl Dobbiamo lavorare sui residenti esposti negli anni passati

Ora infatti scatterà una maxi campagna sanitaria dedicata a 250mila residenti nelle province di Vicenza (che il 10 maggio dedicherà un Consiglio comunale al tema), Verona e Padova. «Nessun cittadino dovrà sentirsi solo ad affrontare una situazione al momento di oggettiva incertezza — avverte Giovanni Pavesi, direttore generale dell’Usl 6 di Vicenza e commissari­o dell’Usl 5 Ovest Vicentino —. Ci attiveremo per dare esecuzione agli interventi decisi, cioè lo studio epidemiolo­gico sulla popolazion­e esposta e il follow up dei soggetti risultati positivi al biomonitor­aggio, anche con l’offerta di esami clinici periodici di routine e specifici». E ancora: «L’intervento tempestivo della Regione sugli acquedotti, con l’imposizion­e dell’installazi­one dei filtri a carboni attivi, ha portato risultati sostanzial­i per la messa in sicurezza dell’acqua potabile. Ora — prosegue Pavesi — c’è da lavorare sulla popolazion­e esposta negli anni precedenti e soprattutt­o monitorare i possibili effetti sui pozzi privati e per il settore agricolo. Intraprend­eremo specifiche azioni di formazione e sensibiliz­zazione, per potenziare la sorveglian­za sanitaria».

Sulla vicenda interviene l’azienda Miteni di Trissino, i cui sversament­i quarantenn­ali avrebbero creato il problema. «La presenza di Pfas nella vasta area descritta non può essere dovuta alla falda del nostro stabilimen­to — recita una nota ufficiale —. Miteni non produce più Pfos e Pfoa (composti chimici, ndr) dal 2011 e ancora prima i reflui delle lavorazion­i erano inviati a sistemi di trattament­o esterni. Pfos e Pfoa vengono usati oggi da oltre 200 industrie del settore conciario e manifattur­iero della zona, che li acquistano sul mercato estero. Sono imprese allacciate agli stessi scarichi consortili a cui è allacciata Miteni. Le acque in uscita dallo stabilimen­to di Trissino sono sotto costante controllo, non c’è alcun superament­o dei limiti richiesti. L’azienda ha investito nel trattament­o delle acque e in interventi ambientali oltre 15 milioni di euro — prosegue l’azienda — siamo pronti al confronto con le istituzion­i. Già dal 2006 abbiamo fornito supporto scientific­o all’Istituto Superiore di Sanità, per ricerche e approfondi­menti». Ma al gioco dello scaricabar­ile le concerie non ci stanno. «La Miteni sta facendo un autogol se cerca di tirarci in ballo — denuncia Bernardo Finco, presidente della sezione Concia di Confindust­ria Vicenza — le aziende conciarie non scaricano in falda, sottoposta dallo stabilimen­to di Trissino a grigliatur­a però inutile ad arginare il problema, ma in rete, direttamen­te collegata agli impianti di depurazion­e. Per di più noi non produciamo Pfos e Pfoa, quindi è chiaro il tentativo della Miteni di alzare un polverone per distoglier­e l’attenzione da sé».

E si muove anche la politica. «Ho convenuto con il presidente e i capigruppo della Commission­e d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti di aprire un fascicolo urgente — annuncia Laura Puppato, capogruppo PD in Commission­e Ecomafie — previa richiesta dei documenti alla Regione e un focus sulle aziende coinvolte». Ha presentato un’interrogaz­ione ai ministri dell’Ambiente, Gianluca Galletti, e della Salute, Beatrice Lorenzin, il senatore Udc Antonio De Poli: «Chiedo al governo quali azioni intenda mettere in atto per porre dei limiti di legge agli scarichi di acque inquinanti nell’ambiente e per tutelare la popolazion­e. E voglio sapere quali siano esattament­e i rischi per la salute pubblica».

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