Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
I dieci centesimi e la classe media lo psicodramma di una città dove l’Istituto era in ogni famiglia
Avete in mente quei negozi, cinesi e non, «tutto a un euro»? Quanto ambirebbe, la Popolare di Vicenza, ad essere esposta su quei banchi! Un euro, un miraggio. L’azione della banca vale dieci volte di meno, dieci centesimi, l’ineffabile economico. Dieci centesimi, due parole che sono state lo shock degli shock, come se la storia recente della banca simbolo della città fosse una discesa agli inferi di cui non si sa mai qual è l’ultimo girone, perché ce n’è sempre uno peggiore. Fino al fuoco eterno che brucia tutto in un attimo. A Vicenza le fiamme purificatrici si stanno trasformando in fiamme distruttrici.
Con dieci centesimi si può comperare solo una azione Bpvi. Non si può comperare null’altro. Cinque fogli di carta A4, una matita colorata, quattro fiammiferi svedesi: questo il valore equivalente di una azione. Quelle che la banca vendeva fino a qualche mese a 62,50 euro. Dieci centesimi è il mantra che corre da tre giorni nelle famiglie, nelle aziende, nei negozi, nei capannelli di facce lunghe all’ombra della basilica. La stragrande maggioranza dei 120 mila soci sono vicentini, la banca è entrata in ogni famiglia, il disastro è sociale prima ancora che economico. Tutti hanno perso tutto, a vari livelli, mentre si affievolisce l’eco delle ultime parole di speranza, nessuno ci crede più. Fino a pochi giorni fa c’era ancora parlava di “banca del territorio”:adesso tutti hanno capito che di fronte non hanno più una banca, ma la finanza. Con i suoi interessi, i suoi giochi, i suoi obiettivi: impossibili da conoscere e padroneggiare. Il problema non è più il dissesto economico più o meno grave di una banca, quanto lo scacchiere nazionale degli istituti di credito, un acquario dove nuotano pesci grossi e pesci piccoli, squali assieme a pesci palla. Chi mangerà chi?
Nelle famiglie vicentine, quelle che dei loro risparmi e dei loro investimenti si sono ritrovate una cifra da poter prelevare in una volta sola al bancomat, la domanda per tutto il mercoledì nero dei “dieci centesimi” è stata una sola: cosa facciamo adesso? E via a strologare con i gomiti sulla tovaglia di aumento di capitale e quotazione in borsa, a confrontarsi con numeri piccolissimi e astronomici: per avere mille azioni bastano cento euro, il valore è così basso che non può che aumentare, magari triplica, sì vabbè, così guadagni 200 euro, vale la pena? Aspettiamo la quotazione in borsa, se ce la fanno, magari il prezzo scende ancora, ci sono gli speculatori all’opera, vedrai che poi non può non risalire… ma allora bisogna comperarne di più, e chi si fida, ok perdere tutto, ma
Un’azione ora vale quanto 5 fogli di carta, una matita, 4 fiammiferi
Dopo il mercoledì nero, la domanda è una sola: adesso che si fa?
due volte è da stupidi. Ma lo sai che il numero delle azioni sarà di 15 miliardi, noi con le nostre mille possiamo solo stare a guardare. Questi i dialoghi familiari, mille e mille senza trovare una risposta o una soluzione. Perché appunto la banca della città non lo è più, si è dissolta come entità fisica per diventare tema finanziario. La banca si confronta con il governo, con il fondo Atlante, con Unicredit che prima garantisce e poi si defila, con gli investitori istituzionali, con i fondi stranieri, quelli che l’ad Iorio è andato a sollecitare a Londra per poi tornare a casa con una battuta da humour britannico: «Dieci centesimi? Vuol dire che sarà più facile che il valore salga». Mentre la banca crolla, di incrollabile c’è solo la sua fiducia. La quale ha già dato luogo ad alcune contraddizioni. «Su Unicredit
come garante sono tranquillissimo» aveva dichiarato, e Unicredit s’è sfilata passando la patata d Atlante. «L’interesse del mercato c’è», ribadito anche ieri, ma intanto la quota di aumento del capitale riservata ai soci è scesa dal 45 al 25%. «Il presidente Dolcetta e io eravamo per l’azione di responsabilità», e si sa com’è stata gestita la votazione. E la contraddizione più clamorosa: Iorio firma il bilancio 2015 in cui si legge che il patrimonio netto della banca è di 2,5 miliardi di euro. A dieci centesimi per azione il valore della banca è 10 milioni di euro. La spiegazione di tutto questo è nei tecnicismi, cioè nei ghirigori della finanza. Dieci milioni di euro può valere solo la sede storica di Contrà Porti, anche senza l’arredamento. Dieci milioni di euro è meno degli stipendi di vertici e manager, che sono più di 16. Se l’aumento di capitale andrà in porto, la banca varrà solo quello, cioè un miliardo e 750 milioni. E tutto il resto? Le centinaia di sportelli? I palazzi prestigiosi? La collezione di dipinti? Perfino l’unica collezione completa al mondo delle oselle d’oro veneziane? Alchimisti al contrario, in Popolare sono riusciti a far svaporare la materia.
Nelle case dei vicentini si stenta a credere all’incredibile e si sente puzza di bruciato. Perfino nella più strutturata e «alleata» delle associazioni dei soci, Futuro 150, non si sa che pesci pigliare. Ma forse il vero problema è proprio l’opposto: non si sa da che pesce si sarà pigliati.