Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Sotto il Ponte degli Alpini, l’ultima vogata sul Brenta prima del grande restauro
Bassano, tiranti e assi piegate. «Sette milioni e tornerà come nuovo»
Al piano di sopra tintinnano i bicchieri della grappa Nardini dei primi aperitivi, che qui cominciano presto, anzi, praticamente non finiscono mai. Sul legno scuro si lancia lo skateboard di un ragazzino figlio di turisti americani: non è mai stato così ondulato, il Ponte di Bassano, le innaturali gobbe offrono un insperato divertimento.
Sotto, sul Brenta che scorre placido, scivola silenziosa la canoa del club Aiutiamo il Ponte. Si infila tra le quattro grandi stilate, le basi di legno e cemento che sorreggono la struttura innestandosi nell’acqua e poi nel terreno sottostante, ora imbrigliate da tanti cavi arancioni, agganciati a settembre scorso. E sono questi, i tiranti, il segno che il Ponte è malato.
Ancorati alle teste di palo di cemento messe nell’acqua nel 1966, l’anno della grande alluvione, servono a una cosa molto semplice: impedire che una brentana, una delle periodiche piene del fiume, si porti via il ponte. Qui, nello stesso luogo dove scivoliamo anche noi con le sottili imbarcazioni, tra pochi giorni cambierà tutto, o quasi.
Dei massi ciclopici, presi in prestito da qualche cava veneta o trentina, faranno da dighe all’acqua, ne fermeranno lo scorrimento per metà dell’alveo, come un’autostrada di cui venisse chiusa una delle carreggiate. Mezzo Brenta prosciugato, l’altro ovviamente a doppio regime: una scena spettacolare, sorta di Mar Rosso in salsa veneta, per la quale non si deve attendere molto. I lavori dovrebbero cominciare ai primi di maggio.
Non ce la si riesce nemmeno a immaginare, adesso che a muoversi sull’acqua sono le barche. La canoa fa sosta proprio davanti alle grandi filagne di larice e rovere mezze immerse nell’acqua, che costituiscono la base del ponte, ora tutte incurvate e piegate per l’immenso sforzo esercitato dal peso del ponte. Il canoista Ilario Baggio se ne era accorto già nel 2013, in uno dei suoi giri pomeridiani nell’acqua verde e profumata del Brenta, e aveva dato l’allarme. Indica i punti che rivelano che sotto il pelo dell’acqua, poggiato sull’alveo sabbioso del fiume, uno dei grandi assi di legno che fanno da fondamenta del ponte - detti dormienti, e non è un caso - si è spezzato. Da allora il ponte si è abbassato a una velocità da brivido, fino a cinque centimetri al mese.
«È fatto di legno, è una struttura intelligente: con quei cedimenti se fosse stato di cemento sarebbe già venuto giù», riflette il vicesindaco Roberto Campagnolo. E invece si è limitato a piegarsi verso nord, a ingobbirsi come un antico animale. Lo skateboard che scorrazza nel pomeriggio fa un gran rumore: da settembre scorso il ponte è tornato a essere tutto di legno. Rimossa la massicciata (negli anni Sessanta c’era persino l’asfalto, ci passavano le auto), per alleggerirlo il più possibile, nell’attesa che arrivi il grande restauro.
Da maggio a ottobre un cantiere di una quarantina di persone vi lavorerà dalle sette del mattino a tarda sera. Rinforzeranno le fondamenta, recuperando i pilastri di cemento che già ci sono, ripulendoli dalle parti invecchiate e appoggiando una struttura reticolare leggera di acciaio. Ma il Ponte resterà quasi sempre aperto alla circolazione pedonale. Poi, da gennaio prossimo, toccherà all’altra parte, la destra orografica del fiume. Sette milioni di Euro - tanto dovrebbe costare il restauro che salverà uno dei ponti più celebrati d’Italia tra canzonette e le mille raffigurazioni da oleografia: gli Alpini, Hemingway, i bombardamenti, le armate napoleoniche che hanno lasciato traccia sulle facciate bucherellate degli edifici vicini, e poi, indietro nella storia, quel progetto originale cinquecentesco, slanciato ed elegante, di Andrea Palladio, che tuttora ne fa una singolarità architettonica straordinaria, anche se di legno palladiano non c’è più nulla.
Della somma complessiva la Regione porta in dote quasi due milioni, più di uno viene dal Comune, la parte maggioritaria (tre milioni) dal ministero dei Beni Culturali. E a questi si aggiunge più di un milione di aiuti di privati, tra fondazioni e libere offerte di cittadini. Il Ponte, ce ne si accorge nella quieta passione civica dei residenti che pagano per il suo restauro, qui è oggetto di sentimento, perché parte della vita collettiva: amato, curato, aggiustato. Insieme alle grappe nei bicchieri, nella sera del venerdì che scende in fretta, continua ad essere icona di una città.
Roberto Campagnolo (vicesindaco) È fatto di legno, è una struttura intelligente: con quei cedimenti se fosse stato di cemento sarebbe venuto giù