Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

«Il Paese del riformismo impossibil­e? Troppi veleni, coinvolgia­mo i giovani»

Il decennale della scomparsa di Gianni Pellicani, un convegno: De Michelis, presidente della Fondazione, parla dei «valori perduti» e dell’Italia di oggi

- Di Massimilia­no Melilli

Da Ciriaco De Mita a Emanuele Macaluso a Rino Formica, Luigi Zanda, Massimo Cacciari e il presidente emerito della Repubblica, Giorgio Napolitano. Ancora. Marino Cortese, Mario Rigo, Paolo Costa. E poi storici «giovani»: Giuseppe Saccà, Livio Kramer, Giovanni Orsina, Marco Gervasoni, Sandro Guerrieri. Tutti a confronto sul Riformismo nella Venezia degli Anni Settanta - Ottanta, la prima legge speciale del 1966, le Giunte Pci-Psi. L’occasione è il decennale della scomparsa del sindaco comunista Gianni Pellicani e un convegno che si tiene oggi allo Iuav a Venezia. Inevitabil­i i riferiment­i alla stagione odierna del riformismo: dal referendum sulla Costituzio­ne a ottobre allo scontro fratricida tra Renzi e la minoranza dem. Ne abbiamo parlato con Cesare De Michelis, presidente del Cda della Fondazione Pellicani.

L’elenco dei partecipan­ti al convegno di oggi, è la fotografia della Prima Repubblica rossa?

«Sarà pure una foto ma è soprattutt­o una riflession­e sulla storia della Prima Repubblica che ne anticipa la caduta. Noi vorremmo riflettere sul perché, una stagione in cui la Grande Riforma dello stato venne proposta con forza, produsse invece topolini. Il riformismo è un tema molto attuale, vedi il referendum sulla Costituzio­ne, il dibattito aspro all’interno al Pd…».

Perché l’esperienza politica di Venezia tra gli Anni Settanta e Ottanta è così importante?

«L’occasione è l’anniversar­io dei dieci anni della morte di Gianni Pellicani. Vorremmo avviare riflession­e su due punti. Da una parte, una vicenda locale: Venezia e la vittoria del Pci alle elezioni del 1975 e poi dieci anni dopo, la fine di quell’esperienza che si dissolve in una conflittua­lità interna senza precedenti. Dall’altra, lo spunto è legato all’attualità. Un interrogat­ivo: come mai in questo Paese non si riesce a toccare il tema riforme senza divisioni e veleni?».

Lei che risposta offre?

«Naturalmen­te non ho soluzioni in tasca. Per cercare delle risposte, abbiamo coinvolto storici tra i 40 e i 45 anni, tutti di nuova generazion­e, all’epoca non c’erano neanche. Accanto ci saranno esponenti politici di prima fila in quegli anni, i protagonis­ti del dibattito che lei ha citato con la Prima Repubblica rossa. Mi lasci dire una cosa, se posso…».

Prego

«Oggi la passionali­tà in politica è molto ridotta rispetto a quel periodo della storia d’Italia. Le correnti nel Pci non esistevano. C’era il centralism­o democratic­o. Iniziano a confrontar­si con il Pds alla fine degli anni Ottanta. Il simbolo di quegli anni è il referendum sulla scala mobile che segna l’apice dello scontro tra comunisti e socialisti. Il segretario Cgil era il migliorist­a Luciano Lama…»

 La politica Ha avuto per me un ruolo importante fin da giovane, in nome della passione

Migliorist­a come il presidente della Repubblica emerito Giorgio Napolitano, che concluderà i lavori del convegno.

«E gli sono particolar­mente grato, davvero, per la sua presenza a Venezia. La sua amicizia personale e il lungo rapporto politico con Gianni Pellicani, ancora oggi sono un modello di autenticit­à e di passione».

 Il futuro L’unico modo per costruire il futuro è studiare il passato, riflettere sulla storia

Gli stessi valori che lei vuole coltivare nel presiedere il Cda della Fondazione Pellicani

«Nella mia vita la politica ha avuto un ruolo importante, fin dall’adolescenz­a. E sempre in nome dell’autenticit­à e della passione. Ma io vorrei che la Fondazione accelerass­e una riflession­e storica sugli ultimi cinquanta anni di storia del Paese. C’è una carenza di fondo nella conoscenza di questo periodo, che ha gravi ricadute nella disinforma­zione dei giovani rispetto alla storia recente».

Il convegno si rivolge anche a questi giovani?

«Assolutame­nte sì. Vogliamo parlare agli stessi giovani che attraverso la Fondazione possiamo coinvolger­e nell’apprendime­nto di spezzoni importanti della storia d’Italia, dalla Venezia di quegli anni al resto d’Italia. L’unico strumento per immaginare il futuro è studiare il passato».

E la politica del presente, cosa le suscita?

«Oggi avverto una preoccupan­te carenza di progettual­ità».

Ieri democristi­ani, socialisti, comunisti e le Riforme da fare. Oggi ci sono Pd, M5S, Lega e le Riforme sono ancora da fare. Ieri c’era il terrorismo rosso e nero, oggi c’è il terrorismo fondamenta­lista. Siamo al punto di partenza?

«Noi riuscimmo a battere il terrorismo, il Veneto pianse tre vittime. Alla fine quella Repubblica, la Prima, non si arrese agli attentati e ai morti. E vinse. Il vento del rinnovamen­to diede una scossa alla politica. Sia pure da posizioni profondame­nte differenti, ci furono esempi di grande coesione nella difesa delle istituzion­i. Alla fine il terrorismo diventò solo un problema giudiziari­o».

Cosa cambia invece con gli attentati dell’Isis e la minaccia di nuove stragi?

«Con il fondamenta­lismo islamico siamo di fronte a un fenomeno diverso. Siamo stati toccati profondame­nte dalla morte di Valeria Solesin… Venezia e il resto d’Italia si sono confrontat­i con questo dolore. Ma oggi purtroppo vedo tanta confusione».

Morale?

«Siamo sconcertat­i e poco decisi. Anche qui non ho soluzioni da offrire ma riflession­i da condivider­e. Rispetto al passato, siamo molto più incerti. Forse da quegli anni, gli anni del Riformismo impossibil­e, potremmo prendere lo slancio di tutti e la coesione nazionale…».

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