Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Dalle vacche alla poesia Lo sfogatoio dei soci tra il buffet e un malore
il distacco tra le liste. Il 57%, in un’assemblea con il 34% del capitale presente, equivale al 19% dell’azionariato. Hanno rastrellato altri voti aggiungendo altri grandi soci (come Pietro D’Aguì, tra i riferimenti storici di Banca Intermobiliare, e i vecchi soci di riferimento di Banca Apulia, come Vincenzo Chirò), ma aggiungendo probabilmente anche piccoli azionisti. Entrambi i fronti piegati dal crollo del valore delle azioni, che hanno prodotto cause e reclami (com’è nel caso di D’Aguì e Chirò). Come il nuovo cda vi farà fronte sarà una prima sfida. E l’altra sarà sul vedere cosa potrà di diverso dire un cda che rischia di durare un mese, fino all’aumento di capitale, e dovrà operare sotto l’occhio vigile della Bce, che non vuole sorprese su aumento di capitale e Borsa.
La parola va ad Ambrosini. «C’è poco tempo da perdere e molto lavoro da fare», dice prima di infilarsi nel primo cda per il passaggio di consegne con Bolla, che lo nomina subito presidente. E poi parla dell’azione di responsabilità: «Abbiamo tutti gli elementi per procedere? Io direi di no Dico che ci serve un po’ di tempo in più. Non troppo tempo, com’è successo nel caso di una banca qui vicina a noi - dice riferendosi a Popolare di Vicenza . Direi un mese, un mese e mezzo ancora».
Ambrosini parla in chiusura, dopo che Bolla ha svolto l’ultimo punto: una puntigliosa relazione sull’azione di responsabilità. Il presidente ricostruisce la gestione dello storico amministratore delegato Vincenzo Consoli, definito come un «dominus» cita fatti precisi - dalla compravendita di Bim a quella di quadri e tappeti a prezzi gonfiati, fino all’aereo cambiato nel 2011 -,. Dice che ci sono le basi per procedere. Ma l’attesa verità sulle responsabilità è superata dall’esito sul cda.
Capisci che il mondo si è capovolto quando arrivi in zona industriale a Marghera e vedi solo cemento. Non ci sono più le colline montebellunesi, non c’è più la leggendaria tensostruttura. Il futuro di Veneto Banca adesso si gioca sotto a tubi di acciaio, dentro a padiglioni che sopravvivono agli anni. Capisci che è avvenuta una giravolta copernicana quando vedi le mani rugose dei soci che stringono le mani affilate di altri soci. E invece di guardarsi negli occhi, tanto ogni testa vale un voto, si guardano quel foglietto che hanno in mano. «E tu, quante azioni vali?».
La prima assemblea della Spa inizia così, è il nuovo mondo. Arrivano alla spicciolata anche politici e imprenditori. C’è il viceministro Enrico Zanetti, in fianco si siede la moglie. «Ho trecento azioni, ma va a finire che mi tolgo anche da correntista se nessuno mi convince». C’è Alberto Zanatta, imprenditore di Tecnica: «Questa banca ha bisogno di una iniezione di fiducia». C’è l’ex sindaco di Treviso, Gian Paolo Gobbo. «Ci ho rimesso 500 azioni, situazione pazzesca». Spunta anche Renato Mason, segretario Cgia Mestre. «Mi preoccupano tutte queste divisioni».
Sul palco intanto si alternano gli interventi dei soci, chiamati
Ceccato Io sono un dipendente di questa Banca dal 1978. Ci siamo fatti in quattro per difenderla, abbiamo messo a repentaglio la nostra credibilità
al rituale sfogatoio catartico che alterna momenti al limite della comicità (come quello di Renato Schiavo «di nome ma nato Re», che fa partire un coro «Voto lista 2 / Voto lista 2» surreale nell’algido alternarsi degli interventi) a momenti tecnici, come nell’intervento di chi, in primis l’avvocato Sergio Calvetti, invoca a più riprese e con toni alti «L’avvio dell’azione di responsabilità».
In mezzo, una trentina di micro-dibattiti per ogni punto all’ordine del giorno votato: sono i soci chiamati a assorbire in 180 secondi la rabbia o le proposte maturate per mesi. Roberto Tetris attacca: «Questa non è una assemblea, è Paperissima. E voi non siete soci, siete vacche da mungere». Francesco Celotto, dell’associazione azionisti delle popolari venete: «Dateci la lista dei prestiti superiori al mezzo milione di euro». L’aula rumoreggia, se ci fosse un termometro del tifo oscillerebbe di più verso i contestatori. Donatella Peruc: «Carrus ha fatto l’uomo delle pulizie. Ma noi siamo rimasti senza i soldi per mandare a scuola i nostri figli». Poi è tempo di votare. C’è chi si mette in fila sotto le strutture mostrando la tessera e la carta d’identità. Chi taglia l’angolo e si butta sul buffet. Farro ai gamberetti, polpettine, ma anche porchetta e buon vino. «Almeno ogni tanto mangiamo anche noi», si danno di gomito due omoni.
Da dentro Bolla richiama tutti all’ordine, secondo valzer di interventi, questa volta sul fronte della composizione del Cda. Dà show Matteo Fasolo, che dopo aver mostrato un pacco di monetine da dieci cent – «le mie azioni sarebbero queste?» – decanta una poesia, in rima dedicata alla Boschi e chiede «il commissariamento della banca». Ma c’è anche la voce di un dipendente come Angelo Ceccato. «Abbiamo messo a repentaglio la nostra credibilità personale». Ed ecco, un anziano che si sente male. Arriva la barella, gli infermieri se lo portano via. Ma non è nulla. «Un calo di valore azionario e il conseguente della pressione», dicono in sala. Si alza una folla quando serve registrarsi per dire «no» allo stipendio da novantamila euro. E qualcuno pure si arrabbia perché, dal palco, Bolla dichiara chiusa la votazione anzitempo. «Ma che fate, volete impedirci di votare?». Infine arriva anche la sera e le sedie vuote sono più di quelle piene. Fino alle sette e mezza, col voto più atteso. E si torna alle auto. Qualche decina di automobilisti si trova pure una multa per divieto di sosta. Ma questa è un’altra polemica. (ma.pi.)
Zanetti Ho trecento azioni, ma va a finire che mi tolgo anche da correntista se nessuno mi riesce a convincere