Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
L’autista che guida e chatta mentre trasporta 50 ragazzi
Io, prof, e quel viaggio paradossale: telefonava e sbandava
Le mani sollevate dal volante, la testa china sul cellulare, l’autista che chatta e telefona. C’è un particolare: sta guidando e nel bus ci sono i 50 studenti che tornano dal «Premio sicurezza stradale». Lo abbiamo filmato.
Il premio Il 2 maggio si è tenuta la giornata conclusiva del concorso «La Strada Giusta» Abbandona il volante con entrambe le mani per tenere il telefonino
La maggioranza degli incidenti è frutto di una serie di distrazioni e violazioni
Pensando ai rischi, dovremmo sentirci tutti criminali circondati da criminali
Un viaggio paradossale e grottesco. A raccontarlo si stenterebbe a crederci: un autista di un autobus del servizio pubblico, che guida senza mani e a testa china chattando e telefonando con il suo cellulare, mentre trasporta cinquanta studenti delle scuole superiori di ritorno da un premio sulla sicurezza stradale. Purtroppo però è realtà. Una realtà che ci racconta, dopo averla vissuta e filmata in prima persona, il professor Corrado Poli, editorialista del Corriere del Veneto e saggista esperto in politiche della mobilità, che in quell’autobus si trovava, lo scorso 2 maggio a Vicenza, perché coinvolto dalla scuola nel progetto.
Il 2 maggio, accompagno a Vicenza un gruppo di cinquanta liceali di Noventa Vicentina alla manifestazione conclusiva di un corso sull’educazione stradale («La strada giusta»). Una manifestazione meritoria e bene organizzata… che termina in modo grottesco! Dopo avere recepito tutte le informazioni possibili sui pericoli della strada, i giovani salgono su un autobus delle autolinee vicentine «Svt» (l’ex «Ftv», si tratta di un mezzo pubblico riservato dai ragazzi, che per salire hanno comprato il biglietto) il cui anziano autista non fa altro che parlare al cellulare impugnandolo. Visto il pericolo e ricordando la recente strage di studenti in Spagna, gli faccio notare cortesemente la cosa. Mi risponde sereno e con altrettanta gentilezza: «Non si preoccupi, sono in servizio da trentadue anni». È talmente convinto di fare una cosa normale e della sua impunità che non si preoccupa minimamente che potrei filmarlo o protestare. Mentre abbandona il volante con entrambe le mani per tenere il telefono e fare il numero, l’autobus sbanda persino di qualche metro sia pure senza apparente pericolo. Agli studenti, abituati a questi comportamenti degli autisti, il tutto sembra normale nonostante siano stati appena subissati di informazioni sui rischi della strada. Da notare come in uno dei filmati l’autobus proceda piuttosto lentamente, ma nell’altro il tachimetro segni 90 all’ora in una strada il cui limite per le auto pare sia 70.
Ci indigniamo facilmente per le imperdonabili leggerezze di autisti che hanno provocato la morte di molte persone. Scandalizzarsi per le tragedie eclatanti, ma per fortuna occasionali, giova poco alla modifica dei comportamenti quotidiani. Al contrario un progetto educativo adeguato deve far percepire ai cittadini come migliaia di rischi minimi siano all’origine di piccole e grandi tragedie. La maggior parte degli incidenti non è il frutto di atti delittuosi quali guidare sotto influsso di droghe o a velocità folle. Piuttosto è la conseguenza di una serie di distrazioni e violazioni minori che sommandosi provocano tragedie. Se non pensassimo alle vittime che effettivamente provochiamo, ma ai soli rischi che generiamo con comportamenti inadeguati, dovremmo sentirci tutti criminali circondati da altri criminali. Ogni volta che compiamo un gesto appena scorretto dovremmo considerarci correi nella quotidiana ecatombe stradale. Nemmeno chi scrive è innocente poiché è facile adeguarsi inconsapevolmente al contesto.
Gli psicologi della mobilità sanno che, per essere efficace, l’educazione stradale si deve concentrare sui meccanismi imitativi e interattivi piuttosto che su quelli individuali. Solo così si può comprendere come persone apparentemente per bene si comportino da potenziali stragisti senza rendersene conto. I corsi di educazione stradale che coinvolgono i giovani sono facili da organizzare, ma sono efficaci solo in piccola parte in quanto il messaggio è rivolto ai singoli. Inoltre si disinteressano di tutte le altre categorie di utenti della strada, compresi i lavoratori del trasporto pubblico. Cambiare i comportamenti collettivi non è facile, ma è possibile se si conoscono gli strumenti.
L’autista dell’autobus era un nonno sessantenne, forse stanco e usurato dall’avere fatto sempre lo stesso lavoro per trentadue anni e in attesa di una pensione che non arriva. Era assolutamente privo di formazione, di una cultura del rischio. Era inoltre ignaro del ruolo pubblico che esercitava quotidianamente guidando l’autobus e che era molto più educativo sui giovani di qualsiasi corso. Nessuno l’aveva formato a questo senso di responsabilità, né l’azienda né il sindacato. Su molti autobus (all’esterno e all’interno) negli Stati Uniti è indicato un recapito a cui rivolgersi se l’autista viola le norme della strada. Questo sistema delatorio in Italia sarebbe contrastato dai sindacati e con qualche ragione che condivido. Tuttavia, le aziende di trasporto (e i sindacati) dovrebbero per prime esigere un comportamento irreprensibile dai loro autisti. Collaborerebbero così con l’esempio a promuovere l’educazione stradale oltre che a ridurre i rischi.