Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

I DUE VOLTI DEI FLUSSI MIGRATORI

- Di Piero Formica

Quella che fu l’Austria Felix alza un «muro» (in realtà una rete metallica di 300 metri peraltro scavalcabi­le) al Brennero. Alla moltitudin­e che fuggendo dalla guerra è alla ricerca di una voce amica giunge dal di là del «muro» un urlo di rigetto. È un coro che intona «non possiamo accoglierl­i tutti». Dove quel «tutti» - nella piena comprensio­ne del fatto che accogliere tutti appare assai problemati­co - cela concetti indetermin­ati. Appaiono in tutta evidenza le braccia e le gambe di chi fugge dalla guerra, dalle privazioni della libertà personale, dalla povertà.

In ombra, poco o nulla s’intravede del loro potenziale intellettu­ale. Non si pensa ai lavori scoraggian­ti che quelle persone copriranno al posto nostro. Peggio, non si riflette sulle intelligen­ze che riceviamo. È grazie ai flussi migratori che i paesi d’accoglienz­a sono avanzati nello sviluppo sociale ed economico, stringendo legami con persone e mercati di città e paesi distanti. Le comunità, le città inclusive sono più intelligen­ti giacché vedono nell’immigrazio­ne e nella crescita della popolazion­e una leva di progresso, e agiscono conseguent­emente.

Le ricerche condotte dimostrano che densità e diversità degli abitanti di una città fanno crescere numero e frequenza delle interazion­i. Le città che non sono in grado di attrarre e trattenere i migranti e, tra loro, i talenti rimpicciol­iscono. I loro abitanti votano con i piedi anziché con la testa (per non dire col cuore).

Mentre è proprio sull’influenza reciproca tra i diversi che si fonda il rinascimen­to imprendito­riale di cui tanto s’avverte la necessità in Veneto.

Il monito del sommo Dante risuona tuttora forte: «La mescolanza delle genti è causa dei mali delle città». Un ammoniment­o, però, che ha significat­o affatto diverso da quello comunement­e inteso. Sarebbero, invece, da osservare con attenzione le correnti migratorie e il dialogo tra genti di molteplice provenienz­a ed estrazione che scaturì durante il Rinascimen­to.

Effetti perversi dell’immigrazio­ne e messa a repentagli­o dei valori modellati dall’omogeneità etnica sono figure retoriche che prevalgono nel dibattito corrente. La lunga lista delle degenerazi­oni provocate dell’onda migratoria comprende squilibri etnici e generazion­ali (giovani gli stranieri e anziani i veneti), recrudesce­nza delle problemati­che di sicurezza, riduzione dei valori immobiliar­i nei quartieri con addensamen­to di stranieri e abbassamen­to della qualità dell’istruzione. Tutte degenerazi­oni che mettono a dura prova una qualsiasi ipotesi di integrazio­ne.

Trascurati, invece, i vantaggi dell’interazion­e tra culture diverse, con ricadute positive sull’istruzione delle nuove generazion­i, e il potenziale d’imprendito­rialità che l’immigrazio­ne dischiude e sfrutta. Per il Veneto che aspira al rinnovamen­to, le norme tanto invocate per la regolazion­e dei flussi migratori andrebbero accompagna­te da interventi che facilitino le comunità d’immigrati ad autorganiz­zarsi per darsi un’identità e una visibilità collettiva.

Se ciò accadesse, quelle comunità costruireb­bero dei ponti tra i paesi d’origine e il Veneto. Un fatto, questo, di grande rilievo poiché l’internazio­nalizzazio­ne delle piccole imprese venete corre anche lungo i canali di comunicazi­one aperti dagli immigrati e, in particolar­e, da quelli tra loro che qui hanno colto l’opportunit­à di creare imprese.

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