Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Roger Moore i giorni cortinesi dello 007
Il cielo delle Dolomiti. Bond, James Bond, è Roger Moore, a Cortina d’Ampezzo, 1981. È tutto un evocarlo, in questi giorni in cui il mondo saluta la stella di Hollywood.
Una Lotus Esprit Turbo di un rosso fiammante, audace, oltraggioso, sfreccia sul fondo bianco della Statale di Alemagna. Il Cristallo e il Pomagagnon sullo sfondo. La neve. Il cielo delle Dolomiti. Bond, James Bond, è Roger Moore, a Cortina d’Ampezzo, 1981. È tutto un evocarlo, in questi giorni in cui il mondo saluta la stella di Hollywood, per le scene rimaste immortalate nella memoria del cinema di For Your Eyes Only (in italiano Agente 007 - Solo per i tuoi occhi), dodicesimo film della saga bondiana, regia di John Glen, girato tra Corfù e, appunto, Cortina d’Ampezzo. Non era la prima volta che Moore compariva tra i paesaggi veneti: nel ’79 era stato protagonista di Moonraker, girato a Venezia, con Bond che volava sulla celebre gondola motorizzata, tra i canali e le calli, che alloggiava al Danieli e che a Murano e alla Venini si faceva mostrare i vetri soffiati. Poi, nell’81, 007 arriva a Cortina: cinematograficamente siamo prima della crassa sfacciataggine di Vacanze di Natale, ma molto dopo le scene di amore lezioso, fine anni Sessanta, di Amanti, di De Sica, eppure quelle riprese resteranno parte insostituibile del mito, del racconto che Cortina costruirà su sé stessa nei decenni a venire. Bond/Moore che arriva nella camera 300 del Miramonti («In verità l’albergo servì soprattutto per gli esterni, le stanze vennero riprodotte negli studi di Londra», spiega il super-appassionato Pietro Carlo Ferrario), dal cui terrazzino si vede la Conca cortinese, invasa dal sole. Moore/Bond che si sveste e va a farsi un bagno, e sul vetro appannato legge «Tofana 10 AM, Tofana alle dieci del mattino»: il messaggio che gli ha lasciato il suo uomo. La scena successiva è una funivia - bellissima, un’altra livrea rossa amaranto - che sale verso la cima della Tofana di Mezzo. Lassù, a 3.244 metri, i due si incontrano davanti al panorama della valle del Boite: «La neve quest’anno è meglio a Innsbruck», è il codice segreto che il contatto usa per farsi riconoscere. A cui Bond/Moore risponde, proverbialmente: «Ma non a St. Moritz». Le icone cortinesi si rincorrono. La slitta che si vede comparire nella neve nel film di Glen ricorda quella, trainata da cavalli, che aveva accompagnato Alberto Sordi nel «Conte Max»; le scene dei borghesi impellicciati al sole, mentre Moore/ Bond parla coi suoi informatori, sono girate nello stesso bar dello Stadio del Ghiaccio dove pochi anni dopo Guido Nicheli, alias Donatone nel film di Vanzina, esploderà nel tormentone: «Sole, whisky, e sei in pole position!» E poi ecco Corso Italia, e sopra a tutte la più celebrata delle immagini bondiane in montagna: la scena dell’inseguimento, in cui Bond cioè Moore cioè la sua controfigura fugge con gli sci ai piedi e un motociclista alle calcagna, in mezza Cortina: il trampolino olimpionico, le distese dello sci, la pista da bob. Dove troverà la morte, nelle riprese, il povero stuntman Paolo Rigon, volato fuori dal primo grande curvone. Adesso che non c’è più, Bond/Moore è la nostalgia dell’epoca dei galantuomini della Guerra Fredda, in cui eleganza e azione, forza e intelligenza stavano in un equilibrio quasi miracoloso, con lo spionaggio come unico agone possibile, in un mondo costretto dai lacci della diplomazia. L’intelligence, in senso lato. Ma la Lotus ampezzana e la gondola motorizzata veneziana dicono anche di un’altra storia. Sono lampi di un futurismo che non tornerà più, l’ebbrezza della velocità, gli ultimi motori - e relativi gas di scarico - sulle piste, tra automobili e motociclette. Prima che, come ha notato Antonio De Rossi, si faccia strada la retorica slow, ecologica e passatista che domina i nostri tempi. Gli anni di Roger Moore: così moderni, così lontani.