Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Straordinari all’Electrolux il sì (silenzioso) ai cancelli «Basta guerre, facciamoli»
La Cgil nega l’accordo, Cisl e Uil aprono. Riesplode il caso Breda
Di questi tempi, meglio tenersi stretto il lavoro e rinunciare al braccio di ferro. Gli operai dell’Electrolux di Susegana sono divisi ma una maggioranza (timorosa e silenziosa) si dice disposta agli straordinari chiesti dall’azienda. Nonostante il veto della Cgil.
SUSEGANA (TREVISO) Lo spettro della delocalizzazione all’Electrolux a Susegana – o almeno di un netto taglio alla produzione - c’è ancora, non è passato. Aleggia sullo stabilimento trevigiano da anni, in alcuni casi è un alito, in altri un macigno. E sta qui la grossa differenza di opinione (e percezione) fra i lavoratori in merito agli straordinari obbligatori chiesti dall’azienda: «Abbiamo uno stipendio, siamo già fortunati così, basta con questo continuo tirare la corda altrimenti si spezza», scuote la testa un’operaia. «Non dobbiamo sottostare alle minacce della società, non ci sarà accordo se non assumeranno altri lavoratori», si infuria un collega.
Al cambio dei turni, intorno alle due del pomeriggio, si incrociano centinaia di lavoratori nel grande piazzale davanti al cancello con i tornelli. C’è una maggioranza silenziosa che vorrebbe accettare il pacchetto come richiesto pur di scongiurare la perdita del posto, ma la minoranza battagliera alza barricate per principio e per diritti e così le tensioni palesi fra la Fiom Cgil e la multinazionale diventano tensioni sotterranee fra i dipendenti. Si sta così, divisi e guardinghi, mentre l’estate finisce e comincia un’altra lotta.
«Sono stanca di queste storie, ne ho le scatole piene di questi scioperi», brontola qualcuno allontanandosi. «Siamo molto divisi perché molti vorrebbero farli, gli straordinari, compreso me – racconta un dipendente -. Ultimamente c’è trambusto per via del nostro sindacalista licenziato e ora quelli della Cgil lucrano su tutti i problemi che ci sono. Ma fuori non c’è niente, per noi cinquantenni, teniamoci il lavoro noi, altrimenti è sempre l’operaio che ci rimette». La sicurezza di uno stipendio non si può barattare, dicono: «Non siamo noi a volere questo braccio di ferro, ma quelli che ci gestiscono».
L’unica cosa su cui tutti sono d’accordo è che al centro della polemica c’è il licenziamento di Augustin Breda, il condottiero della Fiom, Rsu storica: a giugno è stato sospeso per uso scorretto dei permessi. «Tutto nasce da lì, ormai ne fanno una questione politica e di chi lavora non interessa niente a nessuno - si rabbuia un uomo in divisa -. Quando c’è lavoro bisogna essere presenti e approfittarne, in vista di tempi più difficili. Invece di dire no si chiedono soldi in più, che alla fine io lavoro per quello. Un privato deve fare utili e se i pezzi non li facciamo qua li fanno fare a un altro. I problemi ci sono, stare meglio è obiettivo di tutti, ma vanno risolti con il dialogo. Protesteremo se il licenziamento di Breda, dopo il processo, sarà ingiusto come pensiamo ma non possono tenere sotto scacco tutti per questo motivo».
In Cgil però fanno quadrato: «Gli attriti con l’azienda sono ciclici, minacce di chiudere o spostare la produzione arrivano ogni volta in cui la proprietà non ottiene ciò che vuole– afferma Stefano Granzotto -, così crea una situazione vantaggiosa scatenando paure. Per noi la questione è legata al licenziamento di Breda, lo ritenevano scomodo, ma non rendiamola banale, non c’è solo questo. Parliamo invece delle malattie professionali che si sviluppano qui dentro, degli infortuni, di una media d’età di cinquant’anni. Manca una strategia aziendale, non capiamo cosa vogliono fare. Ci chiedono straordinari ma basterebbe assumere cinquanta persone o ripristinare una linea di produzione che è stata ridotta». «Noi rispondiamo a qualsiasi richiesta con un non accordo– gli fa eco Giovanna Cirillo -. Se l’azienda continua a perdere pezzi non può dare la colpa ai lavoratori». E Breda che dice? «Io non c’entro, la mia posizione è marginale in questa vicenda. Il problema non sono quattro sabati di straordinari ma limitazioni e difficoltà per i lavoratori alle quali non si è trovato rimedio, ritmi non rispettosi e rischi elevati». Fra sette mesi però scade l’accordo di tre anni fa sulla defiscalizzazione del lavoro che aveva fatto rientrare un piano da centinaia di esuberi, e i dubbi dei dipendenti Electrolux montano.
Oggi è turno straordinario volontario, nessuno sarà bloccato all’ingresso in fabbrica dalla Fiom in rivolta. «È una situazione pesante, gli straordinari sono una scelta, non possono imporceli, ci stanno chiedendo troppo - chiude la macchina un lavoratore -. È un altro ricatto». Cisl e Uilm hanno espresso la loro posizione con un manifesto in fabbrica: «L’azienda ha tante responsabilità e deve dare molte risposte. La Fiom chiede assunzioni, salute, diritti, investimenti. Ma come potremmo averli se i volumi saranno trasferiti in altri siti? Non ce la sentiamo di mettere a rischio 1200 persone. Nessuna obiezione al sabato straordinario».
Solo le Rsu ci mettono la faccia. Nessuno dei lavoratori vuole esporsi ufficialmente: «Sa, l’azienda ha il coltello dalla parte del manico, ma il sindacato ha il martello». Meglio tenere un basso profilo in questa guerra che a molti, ormai, non piace più.
Il delegato Fiom Il mio licenziamento è marginale in questa vicenda. Il problema non sono i quattro sabati in fabbrica, ma le condizioni del lavoro