Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
«Mi chiamano provocatrice ma indossano le mie giacche anche Sting e Elton John»
Una rivista americana le ha dedicato 50 pagine. La sua auto-censura
«Cos’è Venezia? Un formicaio, consumato d’estate dal brulicare di esseri viventi, in apparenza morto d’inverno. Ma in realtà Venezia è immortale».
Se lo dice Fiorella Mancini, c’è da crederci. Lei, stilista trasgressiva, in quarant’anni di attività tra campi e canali ha lasciato più di un segno: le feste dei socialisti a tema «Paradiso terrestre», i campanili di San Marco che richiamano falli, le performance con pantegane giganti e modelle seminude. Alla «storia» si è aggiunto quest’estate lo scontro per le sculture del veneziano Gaetano Bodanza, esposte nella vetrina del suo negozio di campo Santo Stefano. Luigi Corò, presidente del Comitato a difesa del cittadino, non ha avuto dubbi: agli aitanti nudi maschili andavano imposte le mutande perché lesivi della sensibilità dei più piccoli. Così dice l’esposto, più di trent’anni dopo che i vigili avevano intimato a Mancini di rivolgerli verso l’interno della bottega.
Insomma, oggi l’artista ferrarese, cresciuta a Venezia, scandalizza ancora. Non importa se ha chiuso il capitolo degli eventi danzerecci che organizzava per Gianni De Michelis, suo caro amico. «Non ci sono più gli sponsor dell’epoca dei socialisti, allora era come un grande picnic e ognuno portava qualcosa – ricorda la stilista - io non ne guadagnavo, per me l’organizzazione era un’espressione artistica. Erano altri tempi».
Nel tempo di oggi si occupa di performance artistiche ed oggetti eccentrici – se così si può definire un bicchiere-teschio -, ma soprattutto di giacche di velluto lavorato da lei, e dipinte con decorazioni che vanno dalla fantasia «falci e martelli» a mezzi busti di Silvio Berlusconi, fino a pantegane stilizzate. Le espone e vende a «Fiorella Gallery», l’atelier-galleria che mescola colori, specchi e luci al neon, opere proprie e lavori di Philippe Stark e Maurizio Cattelan, e dogi en desabillé. «Un sacco di italiani capitano qui e mi chiedono: “Ma chi le mette queste giacche?” - ironizza Mancini - Le star mi conoscono grazie al passaparola: Elton John si è fatto fotografare assieme al suo compagno David Furnish per Vogue Uomo: indossavano una giacca e un kimono fatti da me e li hanno comprati, con tutti gli stilisti che lo vestono gratis! Anche Lucio Dalla indossò le mie cose nel suo ultimo concerto». Sono suoi clienti Ronnie Wood, batterista dei Rolling Stones e la sua fidanzata; il magnate di Palazzo Grassi, Francois Pinault, è venuto nel suo negozio apposta per conoscerla. «Poco tempo fa l’artista Damien Hirst ha comprato molte giacche con teschi aggiunge Mancini - e a gennaio Sting ha comprato delle giacche assieme alla moglie e le tre figlie». Dalle vetrine della galleria, Mancini ha visto cambiare Venezia: «Quando ho aperto il negozio era per l’elite, ora attira le masse – ricorda – Adesso i cinesi fanno la fila per chiedermi di cedere il negozio: entrano, chiedono la metratura e se ne vanno. Io non mollo».
Se dei suoi lavori gli sguardi nostrani notano il nudo, quelli d’oltreoceano ammirano lo stile: il mese scorso la rivista statunitense «OutofOrderMag» ha pubblicato un servizio di 50 pagine intitolato il «Genio malvagio di una regina» («Evil Genius of a Queen») sulle collezioni di Mancini. «Hanno insistito per un anno e sono venuti a spese proprie da Los Angeles con quattro modelle e una fotografa che ha lavorato con Armani e Stella McCartney, vuol dire che ci tenevano – sottolinea Mancini – in Italia sono solo come provocatrice, il resto non esiste». Il giudizio sta nell’occhio di chi guarda, ama ripetere la stilista, spesso costretta a rimuovere sputi dalle vetrine, a volte strisciate da oggetti di metallo. «Falsi perbenisti, immutati dagli anni Ottanta, sono sempre loro – chiosa lei, tranquilla, ricordando quando, all’inaugurazione della «Fiorella Gallery» nel 1986, i comitati dei cittadini opposero il lancio di uova. Sarà il rapporto delle sue creazioni con il sesso? «Io non lo faccio mai – taglia corto – lo metto perché piace a tutti». Respinge parole come «provocazione» e «provocatorio»: «Amo giocare con le convenzioni – continua – rimescolarne gli elementi in qualcosa di nuovo e lasciare che siano gli altri a farsi un’idea. Per i “manichini” le proteste sono sorte solo dopo che gli ho messo le mutande: “Non è giusto coprirle”, mi dicono. E sono d’accordo». Stessa pointe trasgressiva, temi nuovi: perizomi con «Love my Trump» e «Love my Brexit», composto in paillettes accanto alle bandiere statunitense e britannica. Mancini li mostra con un sorriso sornione. E’ sempre la stessa. Proprio come gli oggetti della sua galleria, al loro posto dopo oltre più di 30 anni – Madonne irriverenti incluse. Ce n’è uno che manca, però: «Avevo appeso una giacca con scritto “I love Islam”, ma ho preferito toglierla: di questi tempi…».
La stilista Dalla vetrina ho tolto solo il capo con “I love Islam” Non si sa mai