Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Modifica allo statuto, sul modello parlamentare
La minoranza ritira i 108 emendamenti e rinvia la battaglia alla seconda lettura che si terrà in primavera
Il consiglio regionale ha dato ieri il primo via libera al progetto di legge «numero 1» firmato da Luca Zaia, che prevede di modificare lo statu- to del Veneto nella parte dedicata alla forma di governo della Regione, introducendo l’istituto della «fiducia» sul modello parlamentare. Un sì arrivato grazie a 26 voti, quelli di una maggioranza piuttosto risicata visto che i consiglieri sono 51. Le minoranze, tatticamente, hanno infatti deciso di rinviare lo scontro: per il via libera servono due passaggi in aula.
VENEZIA Primo via libera, ieri, in consiglio regionale, al progetto di legge «numero 1» firmato dal presidente Luca Zaia, che prevede di modificare lo statuto del Veneto nella parte dedicata alla forma di governo della Regione, introducendo l’istituto della «fiducia» sul modello parlamentare. Un via libera arrivato grazie a soli 26 voti quelli di una maggioranza piuttosto risicata visto che i consiglieri sono 51 -, inaspettatamente (di fatto tutto si è risolto in tre ore), frutto della decisione dell’opposizione di ritirare i 108 emendamenti già depositati - alcuni dei quali davvero creativi, come quello per cui «il Veneto è una Regione fondata sulla bellezza» - con l’intenzione di ripresentarli in occasione della seconda lettura che il consiglio dovrà dare al provvedimento una volta che saranno trascorsi «almeno sessanta giorni» (per modificare lo statuto occorrono infatti due distinti passaggi in aula senza modifiche al testo, proprio come previsto per i ritocchi alla Costituzione in parlamento).
Una decisione, quella della minoranza, che risponde a due esigenze. La prima è tattica: davanti alla maggioranza decisa a tirare dritto come un panzer, meglio rinviare l’ostruzionismo alla seconda lettura, così da tenere inchiodato il consiglio nel momento decisivo (per le modifiche allo statuto non sono previsti limiti ai tempi della discussione, si rischia un Vietnam come quello visto sull’Azienda Zero) con la speranza, chissà, di riuscire magari a far passare qualche modifica, ipotesi che costringerebbe l’aula ad una terza lettura con ulteriore allungamento dei tempi. La seconda, invece, riguarda gli equilibri interni alla stessa minoranza: già di per sé traballante per via del Movimento Cinque Stelle che da inizio legislatura preferisce giocare il ruolo del terzo incomodo (in questa sede sta chiedendo di introdurre il «referendum approvativo»), l’opposizione vive ora pure l’ambiguità di Centro Destra Veneto, il gruppo formato in corsa da due ex «tosiani» (Stefano Casali e Andrea Bassi) e un leghista (Fabiano Barbisan) che formalmente sta in minoranza ma sostanzialmente - come da ragione sociale - si muove in contiguità con la maggioranza. Di qui guai come quello del «pizzino» recapitato al capogruppo della Lega Nicola Finco, «pizzino» anonimo ma dalla chiara provenienza Pd in cui l’opposizione chiedeva una serie di garanzie («Di careghe» corregge prontamente Finco) per riequilibrare l’introduzione della fiducia. Prima l’hanno disconosciuto i Cinque Stelle, poi Centro Destra Veneto, poi Pietro Dalla Libera di Veneto Civico. Uno smottamento che ha permesso a Finco di infierire: «Hanno fatto una figuraccia, sono divisi e sono stati costretti a una frettolosa ritirata. Ora mi auguro che i tempi tecnici consentano la ripresa di un dialogo costruttivo».
Il tempo certo non mancherà. Considerando che all’orizzonte si profila la maratona del bilancio, è difficile che la fiducia torni in aula prima della primavera e per allora si vedrà se le corpose richieste della minoranza avranno trovato qualche accoglienza: si va dalla previsione che la fiducia sia votata a maggioranza assoluta (oggi si prevede la maggioranza semplice per confermarla, quella assoluta per toglierla, chissà perché) all’esclusione di statuto, Defr, bilancio e legge elettorale dalla lista dei provvedimenti blindabili (gli ultimi due interessano particolarmente a Zaia), fino all’attribuzione all’opposizione delle presidenze delle commissioni Bilancio e Controllo e della Giunta per il regolamento. «Questa legge è incostituzionale, sono pronto a promuovere un referendum» attacca Piero Ruzzante di Mdp e Stefano Fracasso del Pd rincara: «No a modifiche unilaterali, la democrazia funziona se ci sono garanzie per tutti». Preoccupa, in particolare, l’ipotesi che la maggioranza possa annullare con la fiducia pure il «jolly», ossia la possibilità per la minoranza di chiedere, una sola volta nella legislatura, che non venga applicato il contingentamento dei tempi.
In chiusa, un episodio che ha destato qualche polemica: durante il voto, Casali è stato scoperto a votare per il collega Bassi, che aveva lasciato l’aula da un’ora. Biasimo da maggioranza e opposizione (per una volta d’accordo) nei confronti del pianista, il voto - di astensione - attribuito a Bassi è stato depennato dal conteggio.
Finco La minoranza è divisa, sono stati costretti alla ritirata Che figuraccia
Fracasso Non accettiamo modifiche unilaterali allo statuto Servono garanzie per tutti