Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Chiarot: «Vorrei che la Regione si impegnasse di più per la Fenice»
Il sovrintendente lascia il teatro veneziano per il Maggio Fiorentino. «Mi appello a Zaia, altrove l’impegno è più forte. la mia ricetta? Stagioni sostenibili a livello economico ma mai banali. Penso all’attenzione sul barocco e sul Novecento»
Quando parla della sua «amatissima» Fenice nella voce trapela emozione e, nonostante le sue dimissioni siano già state protocollate e non ne è più il soprintendente, quando parla della Fondazione veneziana, Cristiano Chiarot, da marzo al Maggio Fiorentino, non riesce a non parlare al plurale, la Fenice resta, per lui, «noi».
Soprintendente, ha lasciato Venezia, adesso è ufficiale
«Quando ami il tuo teatro, e io lo amo profondamente, lasciare è un atto di fiducia e rispetto verso chi arriverà dopo».
La Fenice è una delle poche fondazioni liriche in buona salute, qual è la ricetta del suo successo?
«Noi facciamo un bellissimo lavoro e proprio nel lavoro abbiamo investito, tutelandolo e promuovendo stagioni sostenibili a livello economico ma mai banali, con grandi nomi. Al contempo, siamo un’azienda che deve tenere conto dei costi e dell’accessibilità dell’offerta per il pubblico. Per questo, abbiamo puntato a produzioni di qualità e proposte diverse, aumentando i titoli in modo da rispondere alle richieste degli abbonati, che chiedono, per l’appunto, novità. Innovazione, attenzione alla
contemporaneità e alla tradizione, il nostro faro».
Qualche esempio?
«La Butterfly con Chum (Jonathan, tenore, ndr), il balletto con 14 spettacoli nel 2017 contro i 5 del 2016, la maratona del contemporaneo, l’investimento sul barocco, sul ‘900. Abbiamo spaziato tra generi e autori. E siamo stati premiati».
La Fenice è sempre menzionata per il felice rapporto tra dirigenza e lavoratori
«(ride) Non è che non ci siano attriti con i sindacati. Ma abbiamo puntato sul dialogo: è necessario che ci sia serenità nel lavoro. Paghiamo sempre gli stipendi, stiamo cercando di chiudere il decentrato e, soprattutto, creiamo i presupposti perché ognuno si senta essenziale alla Fondazione».
Il ricordo più brutto e quello più bello.
«Appena nominato soprintendente, il Fus (il fondo per lo spettacolo, ndr) è stato tagliato del 40 per cento: un bruttissimo colpo. Ora, per fortuna, abbiamo un Ministro attento che sta rifinanziando gli enti lirici. Ricordo bello (ci pensa, ndr): tutti, sono stati sette anni intensi, ho ricordi enormi».
Capitolo trasferte.
«Sono in corso trattative con Giappone e Oman, noi ne
facciamo se portiamo a casa qualcosa, ne potevamo fare di più ma in città produciamo ritorni economici: siamo un teatro molto radicato a Venezia».
Che futuro vede per le Fondazioni?
«Difficile. Lo Stato ha fatto la sua parte, tutte nel 2017 chiuderanno in pareggio».
Molte però grazie ai piani di risanamento della legge Bray, di cui beneficerà anche l’Arena di Verona
«Vedrà che Verona ce la farà. La legge Bray costringe a fare bene i conti e a rispettare il budget, impone scelte artistiche basate sul budget di puntare sui dipendenti, da valorizzare al massimo».
Cosa servirebbe alle Fondazioni venete?
«Mi piacerebbe vedere un intervento forte della Regione, come già accade altrove. Non sono riuscito ancora a convincere il presidente Luca Zaia: la mia non è una polemica, ma siamo veneti e facciamo lavorare i veneti, a partire proprio dagli artisti».
Adesso si concentrerà solo su Firenze
«Innanzitutto, ringrazio tutti alla Fenice, a partire da Ortombina (Fortunato, possibile erede del ruolo di Chiarot, ndr). Firenze mi ha accolto con grande affetto ma la situazione è dura. Ho recuperato i rapporti con Mehta (Zabin, maestro d’orchestra, ndr) e li sto recuperando con Luisi (Fabio, direttore artistico, ndr). Il calendario per il 2018 è buono, il mio cruccio è non riuscire a pagare per tempo gli artisti».