Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
L’architettura è utopia: le mille visioni di Armano
La mostra All’antica Stamperia Busato di Vicenza l’artista-scultore propone una successione di ambienti che rappresentano i temi della sua produzione, ma in un allestimento del tutto inedito. Che coinvolge totalmente il visitatore
Il senso fisico che emanano gli oggetti di Armano è uno dei segreti del suo fare arte. Viene da toccarli, la materia non si annulla nella forma
Inaugurata giovedì nella Stamperia Busato a Vicenza, contrà Porta Santa Lucia 38, «Architettura è utopia» è dedicata alle opere dello scultore padovano Elio Armano. Anticipiamo una parte dell’intervento in catalogo di Paolo Coltro, curatore della mostra assieme a Guido Beltramini e Stefania Portinari.
Non si è fatta un’antologica non perché impossibile (ma sì, era impossibile…) ma per una scelta diversa. Non si trattava di «limitare» Elio Armano o di scegliere, come usualmente si fa nelle mostre, un tema dell’artista o una «selezione delle opere». No. Si trattava di trasformare in saporoso vino la grande vendemmia Armano, con tutte le sue annate mischiate assieme, e poi non fermarsi lì. Di più, ci voleva la distillazione, per arrivare all’essenza. E non è finita: come i grandi maîtres del Cognac, si è voluto comporre i singoli migliori distillati, di varie annate, di vari crus. Gli inglesi chiamano questo «blended», i francesi non lo chiamano né lo scrivono, lo bevono. Sull’etichetta di un Cognac non troverete mai la data di invecchiamento, se è un blended. Armano fa eccezione: è un Cognac di 72 anni. Ma ci dev’essere un criterio, una linea guida. Per il Cognac, il gusto finale, quello che il cantiniere insegue e decide. E per Armano?
I curatori hanno cercato di mettersi nei panni del visitatore. Non di proporre qualcosa da osservare, ma di «essere» chi osserva. Paradossalmente, non di far conoscere l’artista in modo più o meno didascalico, più o meno esauriente. Un atto coraggioso: l’artista viene dopo le sue opere, l’artista è la conseguenza di quel che ha saputo fare. L’amore e l’apprezzamento per l’artista provengono da quanto ha saputo trasmettere. Il chi viene dopo il cosa. Siamo sicuri che succederà. Conoscere Armano avviene così in due momenti distinti e ognuno avrà una valenza propria. L’io – che in un’antologica sarebbe stato il filo conduttore – cede il passo all’espressione dell’io. E quella parola «faber» che ha accompagnato l’uomo Armano per tutta la sua vita si realizza compiutamente, si riempie di significato proprio perché l’uomo diventa le sue opere. In estrema sintesi, fatti non parole. Oggetti non discorsi. È il modo migliore per arrivare, alla fine, all’artista e alla sua dimensione, la trasparenza e la potenza della sua opera.
(...) Ogni opera partecipa ad un’opera più complessa, che dà sensazioni diverse perché è essa stessa opera diversa. Gli accostamenti sono concettuali ma anche sensoriali: il senso fisico che trasmettono gli oggetti di Armano è uno dei segreti rivelazione del suo fare arte. In parole povere: vi viene da toccarli, la materia non si annulla nella forma, mantiene il proprio richiamo prepotente. (...) Il percorso della mostra è quindi un sentiero proposto per dare sensazioni, non una vetrina accademica. E il bello – se bello è stato o sarà – è che ognuno avrà le proprie, un sentire personale fuori da ogni codificazione, libero di essere diverso anche da quello dell’artista. Libero lui nell’esprimersi, magari contemporaneamente, in modi differenti, in forme a volte antitetiche (dalla sfera alla retta). Liberi i curatori nel proporre assemblaggi mai scaturiti prima. Liberi gli umani osservatori nel fare proprie queste forme e questi ambienti, verrebbe da dire, fatti ad arte. C’è un’unica parola che funziona da suggerimento e possibile chiave di lettura, ma è una proposta concettuale che può essere condivisa o meno. Serve perché ad una mostra bisogna pur dare un titolo, e questo è sembrato non solo pertinente, ma nuovo. Se ne è stupito anche Armano, forse preso in contropiede, sorpreso che si andasse a rimestare in un suo subconscio alla fine mica tanto sub. La parola è: architettura. Di sicuro il costruire, seppure dentro un atelier (ma anche all’esterno, ricordate?) non è solo un desiderio serpeggiante sotto i polpastrelli, ma un fatto concreto. E spesso con creta. L’idea di architettura non è solo in nuce, viste le dimensioni ridotte, ma viene svolta appieno nella realizzazione di forme che sono veri e propri edifici. E le ultime cose di Armano sono una vera e propria sorpresa.