Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
A scuola di bonsai: l’esperto ti insegna ad amarli e coltivarli
Ese togliessimo, togliessimo, togliessimo? Via la congestione di oggetti, l’ammasso consumistico, l’esibizione seriale, l’inutilità moltiplicata, il collezionismo futile: al loro posto aria, spazio vuoto, e resta più spazio per il pensiero.
La suggestione arriva dall’Oriente, da secoli di filosofia entrata nelle case delle classi agiate e, prima, nei monasteri buddisti. Ha conquistato anche un discreto e appartato luogo di Cervarese Santa Croce, nel Padovano, un angolo di atmosfera «altra» in un paesaggio tutto campi e colli che muovono appena un gran cielo azzurro. Una goccia lasciata cadere da un tranquillo folletto pensatore.
Si chiama Edoardo Rossi, quattro lustri passati a crescere nella Padova anni Settanta, altri due a suonare l’oboe con i Solisti Veneti e altri quattro a immergersi nella coltivazione dei bonsai e a esplorare le frontiere dell’essenzialità. Come per esempio il tokonoma, che poi in origine è soltanto lo spazio dove si dormiva, un cassone di 180 centimetri per novanta, sopra a cassetti che contenevano il fouton e il cuscino. Uno spazio che, il giorno, nelle ordinate esili e disadorne case giapponesi, veniva sbarazzato, e che piano piano è diventato occasione e luogo di bellezza. Minimale, temporanea, potente nel suo richiamo estetico, figlia di un pensiero buddista che non è religione ma filosofia. Il tokonoma, nicchia del sonno, diventa esercizio per le sensazioni del giorno, un altare domestico dove la mente sveglia cerca equilibrio e significati.
Edoardo Rossi li fa, i tokonoma, così come sonda il concetto «kazari», che significa abbellire lo spazio, tanto da farne un libro a quattro mani con alcuni maestri giapponesi. Si va per sottrazione: secondo le regole. Due elementi bastano: il kakejiku, un rotolo decorato o scritto appeso alla parete; e il kakemono, che può essere molte cose. Sul piano in legno del «letto» spesso composizioni ikebana, fiori; o di erbe, mai invasive, mai ridondanti. Il bonsai entra in queste composizioni formali solo nel ‘900, perché prima non piaceva fosse presente la terra dove si dorme. Sono mille anni che in Giappone ci si dedica a queste raffinatezze, l’arrivo del buddismo nella sua declinazione zen ha trasformato il senso della bellezza. Si toglie tutto ciò che non è necessario. È nel vuoto che la mente spazia, e negli elementi presenti si concentra l’estetica raccontata.
Tutto questo sta sparendo, in Giappone, dice Rossi. Che veste i panni di chi raccoglie e trasmette una tradizione. Oltre all’allestimento di questi spazi filosofici, ecco i bonsai. Che sono un’arte sorella, un’arte minore che fa corolla a quelle maggiori: la calligrafia, la musica, la poesia, l’arte del combattimento. Per i bonsai, la ricerca della perfezione passa per ogni decisione, ogni gesto, ogni respiro della pianta e tuo e si condensa nel risultato che non può essere soltanto visivo, ma diventa esperienza di bellezza, quindi interiore. «Il mondo bonsai trasmette valori».
In quel di Cervarese i bonsai di Rossi sono più di mille. Coccolati, allineati, protetti, un grande bosco ordinato dove ogni individualità non si confonde, trecento essenze diverse. Rituali che vanno oltre la semplice coltivazione: annaffiatura ogni giorno, da aprile ad ottobre; potature millesimali; cura della terra. Si spazzano via luoghi comuni: il bonsai come natura costretta? Con i fili di ferro ad imprigionare i rami? Anche no.
«Bonsai vuol dire albero coltivato in vaso – spiega Rossi – Siccome in un vaso ci sta poca terra, la pianta cresce poco e lentamente. Si diventa bonsai dopo anni e anni. Se un albero cresce rapidamente non avrà una forma raffinata». Perché lo fa, signor Rossi? «Perché mi diverto». Poca commercializzazione, zero pubblicità, «dei miei bonsai sono innamorato», e qualcuno ha anche un nome, come fosse una persona. Piuttosto una scuola, che funziona bene: 140 allievi a cui insegnare la tecnica e non solo, moltissimi i giovani che mollano smartphone e tablet e si entusiasmano di un altro mondo, e anche un signore di 88 anni. Tre livelli di insegnamento, fino a quello di perfezionamento: che non è mai finito. Rossi andrà tra breve in Giappone per un lungo periodo di approfondimento, con i maestri che lo chiamano al loro fianco. Non esiste il termine “maestro”, ma sen-sei, che vuol dire “chi è nato prima”. Finché è vivo il tuo sen-sei, tu non puoi diventarlo. Ma continui ad imparare: a mettere il cuore nella forma, cosa che non riesce se questo mondo diventa commerciale.
Dice un sen-sei giapponese in là con gli anni, che da una vita si occupa solo di aceri bonsai: «Sono bravi i giovani allievi di oggi, i loro aceri sono bellissimi. Ma non sento il vento che passa tra i rami».