Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Il pacifista che ha vinto il Nobel e l’infanzia a Malamocco La madre di Leo Hoffmann, fondatore di Ican, è del Lido: «Così convinco i governi a disarmarsi»

- VENEZIA Gi. Co.

Da Malamocco a Bruxelles, passando per New York e Buenos Aires, fino ad arrivare al palco del premio Nobel. Nell’anno di Donald Trump e Kim Jong-un, il più prestigios­o riconoscim­ento per l’impegno a favore della pace mondiale va ad un’associazio­ne non governativ­a che da dieci anni si batte per il disarmo nucleare, evidenzian­do rischi e paradossi della corsa al missile. E parla, almeno per metà, veneziano. La Campagna Internazio­nale per l’Abolizione delle Armi Nucleari (Ican) è una realtà che oggi raccoglie oltre quattrocen­to gruppi di più di cento nazioni differenti, ma è nata in un appartamen­to di Berlino, dalla fervente convinzion­e di Leo Hoffmann-Axthelm e del suo coinquilin­o.

Ican è l’acronimo di «Internatio­nal Campaign to Abolish Nuclear Weapons».

L’uomo, ora rappresent­ante dell’associazio­ne nella capitale belga, è figlio di padre tedesco e madre veneziana – il cognome da nubile è un italianiss­imo «Scarpa» – e proprio in questi giorni di grande soddisfazi­one è tornato in laguna. La sua carriera è partita da qui, da una scuola elementare di Malamocco. In seguito, dal 2001 al 2008, ha frequentat­o le scuole superiori in un Gymnasium della capitale tedesca, per poi continuare gli studi tra Argentina e Stati Uniti, fino ad ottenere la specializz­azione in Relazioni internazio­nali. «Io sono un diplomatic­o, anzi quello che in America si chiama “lobbista” - specifica Hoffmann-Axthelm, sorridendo – mi occupo di convincere i governi a cambiare le loro politiche, parlando direttamen­te con funzionari e membri di gabinetto, ma anche se non scendo a manifestar­e in piazza sono comunque convinto della necessità di intervenir­e al più presto».

Il giovane fondatore di Ican spiega in poche parole il cortocircu­ito logico della deterrenza nucleare: «Gli Usa hanno in programma di investire nei prossimi trent’anni almeno mille miliardi in armamenti atomici, strumenti che formalment­e non possono essere mai utilizzati - afferma - Intere nazioni, Italia compresa, contano sul potere di fuoco altrui per garantirsi la sicurezza da altri Paesi altrettant­o armati, arrivando persino a stivare nel proprio territorio missili nucleari con bandiere diverse dalla propria: non molto lontano da Venezia, ad Aviano e a Ghedi, si trovano decine di testate». Sono tutti macchinari vetusti, secondo HoffmannAx­thelm. Leo HoffmannAx­thelm ha fondato Ican a Berlino «Possono essere paragonati ad un’automobile costruita negli anni ‘60 e ottimizzat­a per uccidere quante più persone possibili - prosegue Se non sarà una guerra, ci penserà un malfunzion­amento a causare un disastro, e all’esplosione atomica non c’è rimedio». L’italo-tedesco, oggi a Roma per ritirare un altro premio, spera che il Nobel possa fornire più peso alla sua associazio­ne: «Non è un traguardo per noi, non ci abbiamo mai neppure sperato, ma può diventare un mezzo per farsi meglio ascoltare: vogliamo che almeno cinquanta nazioni firmino il nostro trattato contro il nucleare, e oggi parlerò all’Italia con questa speranza».

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A Berlino

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