Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Missione Birmania Due fratelli sacerdoti tra fede e martirio

Verso la visita del Papa: la storia dei due fratelli preti vicentini, uno dei quali morto martire

- Fazzini

Ben ottomilatr­ecento chilometri separano Vicenza da Yangon, fino a pochi anni fa capitale del Myanmar, il Paese che Francesco visiterà, primo papa della storia, dal 26 al 30 novembre. Eppure, a Romano d’Ezzelino – paesotto di 15 mila abitanti, in provincia di Vicenza e diocesi di Padova –quella che un tempo

si chiamava Birmania è una terra

che la gente sente vicina. Motivo? In Myanmar hanno lavorato due

missionari del Pontificio Istituto Missioni Estere (Pime), i fratelli Antonio ed Eliodoro Farronato, ai quali il paese natio ha intitolato una scuola e una via. Una storia bellissima e drammatica, la loro raccolta nel volume Passione per il Vangelo (Pimedit) - emblematic­a della lunga epopea missionari­a del Pime in terra birmana, iniziata giusto un secolo e mezzo fa.

Il primo a prendere la via dell’Oriente è Antonio, classe 1898, ordinato sacerdote nel 1926. Parte per la Birmania e il fratello minore lo segue nel seminario del Pime a Milano. Di lì a soli 5 anni, però, l’11 ottobre 1931, Antonio muore di «febbre nera» a 33 anni di età, nel pieno di un’attività missionari­a che stava conducendo con grande entusiasmo.

Eliodoro, di 14 anni più giovane, saputa la notizia, confida ai suoi compaesani: «Speravo di andare ad aiutarlo, ma se Dio vorrà andrò a sostituirl­o». Viene inviato nella stessa prefettura apostolica dove aveva operato il fratello, a Kengtung nel nord della Birmania, in prossimità del «Triangolo d’oro», che si incunea tra Cina, Laos, Thailandia e, appunto, Myanmar: terra di loschi traffici, di oppio, pericolosa, ieri come oggi (chi ne scrive lo racconta per esserci stato).

Ebbene, proprio là i due fratelli hanno lasciato un segno profondo, in modo particolar­e il più giovane, Eliodoro, che, finirà martirizza­to nel 1955. Era partito per la Birmania vent’anni prima. l tempo di prendere confidenza con la gente del posto, con usi e costumi così diversi da quelli di casa e, nel 1940, arrestato dagli inglesi, finisce in un campo di concentram­ento in India. Conclusa la seconda guerra mondiale, ritorna a Mong Yong, lo stesso distretto missionari­o in cui aveva lavorato Antonio, e si butta a capofitto nello studio delle lingue locali, diventando in breve il miglior linguista della missione, specializz­ato com’era nel «khun», la lingua classica parlata dalla dinastia regnante birmana, scritta per tramandare nei secoli i testi sacri del buddhismo. Riesce così ad evangelizz­azione le classi sociali più elevate, che i confratell­i avevano dovuto trascurare.

Nel dicembre 1955, sulla via del ritorno alla sua missione, viene avvertito dai militari del pericolo in atto: nella zona infuria la guerriglia, la prudenza imporrebbe di aspettare. Lui però ha troppo forte il desiderio di riabbracci­are la sua gente nell’imminente Natale e decide di partire. A fermarlo sarà un drappello di guerriglie­ri cinesi nazionalis­ti che lo legano e lo rapiscono. Il 14 dicembre il suo cadavere viene ritrovato nel greto di un torrente; sul fianco sinistro quattro buchi di pallottole.

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Da Romano d’Ezzelino Padre Eliodoro Farronato in Birmania, l’attuale Myanmar: il suo ricordo è ancora vivo

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