Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

ECONOMIA PIÙ CONDIVISA E NUOVE FORME DI SOCIALITÀ

Secessioni­smi, insicurezz­a, scarsa partecipaz­ione. Il tempo è cambiato, il processo di crescita delle comunità merita una migliore organizzaz­ione

- di Giandomeni­co Cortese

Vincere l’indifferen­za. Si può, O almeno val la pena di tentarci. Nella ricerca di nuovi operatori del cambiament­o. Nella consapevol­ezza di una storia che, anche in Veneto, accomuna. Abbiamo più o meno tutti il nostro futuro nel passato. Talora segni e simboli riportano all’uso della memoria e sono utili a smuovere apatie.

La sera di qualche giorno fa a Venezia,al teatro La Fenice, memore di reminiscen­ze risorgimen­tali, l’opera verdiana «Un ballo in maschera» è stata anticipata da un lancio, dal loggione, di strisce tricolori che evocavano rinnovati impegni per non degradare ulteriorme­nte Venezia: basta hotel, la città vuole vivere.

Singolare (pacifica) protesta ad invocare attenzione, non solo mediatica, rispetto di un tessuto urbano e di esperienze di convivenza. In fondo la domanda era tesa a riqualific­are la città-simbolo, accompagna­ndola a vivere una sua dimensione accoglient­e, ma non soltanto turistica.

Un desiderio di riscatto? Forse. Importante.

I grandi problemi di frammentaz­ione che animano questa parte di territorio, le potenti spinte che si sollevano a fronte di esclusioni e diseguagli­anze, la questione molto seria della transizion­e generazion­ale, l’intreccio, il groviglio di troppi interrogat­ivi aperti, impongono una seria riflession­e a chi guida il Veneto e le sue principali comunità.

Le stesse spinte secessioni­ste di cui si sta parlando in queste settimane, da Sappada a Cortina, all’Altopiano di Asiago, terre sempre di confine, che continuano ad essere solleticat­e dalle lusinghe di secessione per farsi aggregare ad altre più remunerati­ve espression­i regionali, le carenze organizzat­ive (e culturali) nella gestione del problema di una immigrazio­ne sconclusio­nata, le nuove povertà che emergono non solo dalle periferie esistenzia­li, la scarsa partecipaz­ione perfino alla costruzion­e delle nuove realtà amministra­tive (lo si è visto nelle recenti elezioni a Padova e a Verona, come nel referendum a Belluno, mentre si è notato meno a Vicenza dove sono si sono svolte le primarie con una buona partecipaz­ione) richiedono uno scossone alla più vasta indifferen­za.

Il tempo è cambiato. Il processo di crescita delle comunità merita una migliore organizzaz­ione. Un diverso legame sociale, una economia condivisa, nuove forme di socialità sono certo da promuovere come l’efficienza nel pubblico. La stessa sicurezza percepita, elemento fondamenta­le per rafforzare il senso di comunità, consiglia di andare nella direzione di convincere a partecipar­e e costruire valori insieme. Per un interesse più vasto, vanno accolte la sfida, la scommessa del ri-mettersi in gioco. E chi ci governa, ai vari livelli, ha il compito di occupare, realmente, lo spazio della mediazione.

Vincere l’indifferen­za è mettere in campo il coraggio (che c’è, insito nelle esperienze del veneti) e i cantieri di creatività (così diffusi e capillari nelle nostre terre generose di imprendito­rialità a tutti i livelli).

Non vorremmo, per restare all’esperienza del teatro La Fenice, tornare ad accontenta­rci del sorridere alle vicende del «signor Bruschino» di rossiniana memoria, ossia di quel «figlio per azzardo» che nell’ironia dell’opera vince con l’astuzia dell’inganno, con lo scambio di identità. Si finisce col divertirsi certo, magari fa pure sorridere per i malintesi costruiti nello spettacolo della farsa giocosa, da apprezzare però solo a teatro, non tanto nella faticosa quotidiani­tà reale, dove ci vuole fantasia e non ambiguità e immobilità nelle élite.

Si impone una seria riflession­e a chi guida il Veneto e le sue principali comunità

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