Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Coimpo come Gomorra «Rifiuti nei campi» 6 arresti e 41 indagati
Adria, la scoperta dopo i sei arresti di domenica: metalli pesanti in 280 ettari di terreni agricoli. In carcere il cda dell’azienda, che l’anno scorso fu coinvolta in un’inchiesta dell’antimafia. Sequestri per 20 milioni
L’accusa è pesante: tonnellate di rifiuti, ovvero fanghi e fertilizzanti non lavorati in modo conforme alla legge, sversate abusivamente nei campi ad Adria. Per questo domenica mattina sono scattati sei arresti a carico dei vertici della «Coimpo». Non solo. L’inchiesta apre anche un preoccupante fronte di natura ambientale nel Comune di Adria. È stato infatti disposto il sequestro preventivo oltre che dello stabilimento Coimpo, anche di 280 ettari di terreni agricoli situati nei comuni di Adria.
Tonnellate di rifiuti, ovvero fanghi e fertilizzanti non lavorati in modo conforme alla legge, sversate abusivamente nei campi ad Adria. Per questo domenica mattina sono scattati sei arresti a carico dei vertici della «Coimpo», l’azienda adriese nella quale il 22 settembre 2014 morirono quattro lavoratori, soffocati da una nube tossica. La Direzione distrettuale antimafia di Venezia ha disposto l’arresto di Gianni Pagnin, 66 anni di Noventa Padovana, per la figlia Alessia Pagnin 41 anni, già componenti del consiglio di amministrazione della Coimpo, di Rossano Stocco, 57 anni, di Villadose, legale rappresentante della Agribiofert di Villadose che aveva in gestione delle vasche di stoccaggio nell’azienda adriese, di Mario Crepaldi, 62 anni di Adria dipendente Coimpo, di Mauro Luise, 57enne di Adria ex direttore tecnico della Coimpo e per sua figlia Glenda Luise, 27enne ex componente del Cda Coimpo.
Pagnin e Luise sono in carcere, rispettivamente a Padova e Venezia, mentre gli altri quattro sono ai domiciliari. Ad eseguire gli arresti sono stati i carabinieri del Corpo forestale di Rovigo. Nel settembre 2016, poi, Gianni Pagnin e la figlia sono finiti ai domiciliari in seguito ad un’inchiesta di tenore analogo condotta stavolta parte dalla Direzione distrettuale antimafia di Firenze e vi è coinvolta, tra gli altri, la ditta di autotrasporti casertana «Veca Sud», considerata vicina al Clan dei Casalesi. Per l’accusa fiorentina, gli arrestati avrebbero gettato senza alcuna autorizzazione fanghi civili e industriali a partire dal 2013 su circa 800 ettari di terreni agricoli coltivati a grano e graminacee e situati in provincia di Pisa e Firenze. L’ipotesi della Direzione distrettuale antimafia veneziana è simile. Ovvero che i sei arrestati l’altro ieri, abbiano dato vita a traffici illeciti di rifiuti dal 2010 al 2014 e, in misura più ridotta, fino all’estate 2016, quando la produzione alla Coimpo s’è fermata definitivamente. L’accusa originaria prevedeva anche l’associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti, ma il Gip veneziano ha rigettato l’ipotesi associativa pur concedendo le sei misure cautelari. In tutto sono 41 gli indagati a vario titolo, da imprenditori agricoli ad autotrasportatori che avrebbero aiutato Coimpo a sversare abusivamente rifiuti nei terreni.
Ma l’inchiesta apre anche un preoccupante fronte di natura ambientale nel Comune di Adria. È stato infatti disposto il sequestro preventivo non solo dello stabilimento Coimpo ma anche di 280 ettari di terreni agricoli situati nei comuni di Adria e in minima parte di Pettorazza Grimani. Si tratta dei fondi denominati «Venelago» e «Valnova», entrambi coltivati con fanghi di provenienza Coimpo. I campionamenti eseguiti nel 2016 dei carabinieri del Corpo forestale hanno evidenziato la presenza di metalli pesanti pericolosi per la salute. Questi due fondi venivano utilizzati per lo smaltimento di enormi quantità di fanghi che solo sulla carta avevano subito il processo di trattamento per il loro corretto recupero. È stato anche disposto il sequestro di 9 mezzi di trasporto di proprietà della Coimpo e di altri 57 mezzi agricoli di proprietà di altre undici imprese, tutti utilizzati per il trasporto illegale dei rifiuti. Il valore dei beni sottoposti a sequestro viene stimato in circa 20 milioni di euro.
Fra le irregolarità contestate, il fatto che dal 2010 al 2014 si sarebbero «volatilizzate» oltre 150.000 tonnellate di fanghi (pari a circa seimila camion di rifiuti). Dalla documentazione esaminata era possibile appurare, infatti, che l’impiego in agricoltura di questi fanghi rappresentava solamente il 23 per cento dei rifiuti che in precedenza erano stati lavorati in maniera conforme alla legge. Il restante, per l’accusa, erano frutto di gestioni allegre. Ovvero fanghi miscelati tra loro in maniera non conforme, spesso con operazioni compiute in una singola giornata quando invece i tempi previsti di stoccaggio per l’abbattimento della carica batterica variano dai 30 ai 60 giorni a seconda del tipo di fango.
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