Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
«Nordest, 2018 di svolta per non finire ai margini»
Fondazione Nordest, Peghin lascia: «Contesto decisivo»
Le imprese che rivedono la VENEZIA luce in fondo al tunnel. E un 2018 che può essere di svolta, se però il contesto diventerà favorevole. Il rischio è di finire ai margini. Il presidente di Fondazione Nordest, Francesco Peghin, tira le somme di 5 anni di attività.
«Cinque anni terribili, VENEZIA rivoluzionari. Ma le imprese del Veneto hanno resistito. E ora vedono la luce in fondo al tunnel». Riguarda indietro, agli anni da presidente della Fondazione Nordest, Francesco Peghin, 53 anni, l’industriale, già al vertice di Confindustria Padova, che guida Blowtherm, il gruppo padovano da 75 milioni di fatturato, a cavallo tra industria - tra impianti da riscaldamento e la leadership mondiale dei forni da verniciatura per auto - e sanità. Peghin si avvia all’uscita da Fondazione, con l’approvazione del bilancio 2017 a metà febbraio, dopo la decisione del presidente di Confindustria Veneto, Matteo Zoppas, di affidare il nuovo corso alla guida scientifica dell’ex rettore di Ca’ Foscari Carlo Carraro e quella operativa del presidente di Confindustria Friuli Venezia Giulia, Giuseppe Bono. Peghin lascia a loro il futuro e si concentra sul bilancio da tirare, sulla strada compiuta dal Nordest: «Pensiamo solo al momento più cupo della crisi, al 2013, al crollo dell’economia, ai suicidi degli imprenditori... Adesso si vede una luce in fondo al tunnel».
Solo una luce o anche una direzione di marcia ritrovata?
«Prendo a prestito un esempio personale. Il 2017 per Blowtherm, che è molto diversificata, è stato il primo anno molto positivo in tutti gli ambiti. Tutte le aziende hanno chiuso aumentando i fatturati, e gli ambiti industriali in particolare con un ottimo secondo semestre. Frutto della domanda molto forte negli Usa, di una Russia che riparte, di una Cina con forti investimenti nell’ambiente. Il tutto con un cambio euro-dollaro più equilibrato, prezzi del petrolio bassi e l’iperammortamento che ha rilanciato gli investimenti».
E il 2018?
«Si presenta ancor più positivo in scia al 2017. Ma questa inversione di tendenza che indubbiamente c’è stata va colta nella giusta maniera. L’Italia cresce comunque sempre meno degli altri Paesi europei e persiste la polarizzazione tra imprese che vanno molto bene e che faticano. Le aziende stanno facendo il loro dovere. Ora serve una politica economica che crei il contesto favorevole».
Richiesta avanzata inutilmente da anni. Vede possibile centrare ora il risultato con una politica che ci riporta al voto tornando addirittura indietro alla proporzionale?
«Il problema è che non possiamo più permetterci di star fermi. Sennò la ripresa non la agganciamo più. E il rischio è di diventare marginali. Per il Nordest è essenziale diventare attrattivo per gli investimenti. È il solo modo per dare tra l’altro una prospettiva ai nostri giovani. È prioritario creare spazi per le imprese in un Paese coeso. È presuntuoso pensare di far da soli, specie nel contesto di un’Europa da cambiare».
Una critica all’autonomia?
«Che è importante per metterci nelle stesse condizioni di competitività delle Regioni a statuto speciale che ci circondano. Ma che non può risolvere tutti i problemi».
In compenso il Nordest sull’impresa appare imballato. Iniziative nuove non se ne vedono. Nel frattempo abbiamo vissuto un 2017 di preoccupante shopping estero sulle imprese di casa nostra.
«Vero in parte. Abbiamo sia esperienze di gruppi esteri che acquisiscono imprese sviluppandole, a partire dall’occupazione, che di altri mossisi in un’ottica di rapina. Ed è altrettanto vero che certi imprenditori si spingono fino a un certo punto e poi vendono. Ma anche qui torniamo alla questione attrattività dell’Italia e del Nordest, ai problemi della burocrazia e della giustizia. A un contesto che non è il più adatto per fare impresa».
Di nuovo in Veneto si vede poco anche rispetto ai nuovi ambiti, come il digitale.
«Sono scettico sulle startup digitali. Non siamo la Silicon Valley. Credo più interessante guardare al digitale che può rivoluzionare le imprese manifatturiere».
Sul deficit di nuove iniziative quanto pesa la limitazione del credito post-crollo delle popolari?
«La questione che si fa sentire è che non ha mai attecchito dalle nostre parti il ricorso a un private equity che può far crescere le imprese. Ma anche qui, per la svolta, tocca agli imprenditori essere attrattivi e capaci di mostrare progetti convincenti agli investitori».