Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Ca’ Foscari e le leggi razziali, quegli studenti cacciati
Documenti, lettere e fotografie a 80 anni dal provvedimento fascista. La storia del professor Luzzatto, espulso e poi preside dopo la Guerra. Il curatore: «Processo di addomesticamento della memoria»
All’epoca l’Università Ca’ Foscari è conosciuta come IUEC, Istituto Universitario di Economia e Commercio. All’inaugurazione dell’anno accademico 1939/40 si vede l’Aula Magna, che oggi si chiama Baratto, affollata di ragazzi e ragazze, sorridenti e stretti nella divisa nera. In quella foto, tuttavia, mancano 12 studenti, che pure l’anno prima erano in aula.
Il fatto è che già nel febbraio 1938 i loro nomi compaiono in una lista come «probabilmente ebrei». In base alle leggi razziali vengono espulsi. Il funzionario annota 9 nomi a macchina, 3 li aggiunge a penna. Esegue un ordine di servizio o forse, solerte, lo fa di sua iniziativa. Si orienta per cognome: Milani Tina Bice, Roma Kerschbumer Nives, Finzi Claudia, Righetti Livio, Manera Guido, Manente Olga, Benvenuti Maria, Luzzatto Maria Luisa, Franco Anna. A fianco, aggiunge: Paecht Cristina, Sonino Bice, Polacco Giulio. Li indovina quasi tutti. Olga Manente, no. Non è ebrea: è nata nel 1917 in Eritrea, il padre un militare italiano e la madre un’africana. È bellissima: i capelli ondulati e raccolti, lo sguardo luccicante, la pelle ambrata. Si è immatricolata nel 1937. Sarà la prima afro-italiana a laurearsi a Ca’ Foscari, ma solo a incubo finito, nel 1945.
A 80 anni dalle Leggi razziali, l’Università veneziana tira fuori documenti, lettere, fotografie. Prova a riflettere su quello che è successo dentro le sue stesse aule, comprese le responsabilità di docenti e funzionari. È il primo Ateneo in Italia a farlo con un’operazione di public history. «Ca’ Foscari allo specchio» si intitola la mostra inaugurata ieri alla Biblioteca alle Zattere e visitabile fino al 31 gennaio.
Spiega Alessandro Casellato, il docente che ha coordinato la ricerca: «La sensazione è che molto materiale sia andato gettato o perduto. Non è così sorprendente, perché è andato di pari passo con un processo di addomesticamento della memoria iniziato fin da subito». E aggiunge: «Qui i vincoli di amicizia e di conoscenza, le relazioni e la stima accademica sono stati più forti dello scontro politico, pur drammatico».
Il che non significa che a Venezia le leggi razziali siano applicate in modo blando. La ragioneria dell’esclusione è meticolosa. Persino nei licei: il 12 novembre 1938, ad esempio, la direzione del Foscarini comunica alle famiglie Levi Morenos, Sereni, Sinigaglia l’espulsione dei figli. Uno di loro, Ugo Sereni finirà i suoi giorni nel campo di Ravensbrück.
A Ca’ Foscari, il caso di Gino Luzzatto è quello più eclatante e emblematico. Prestigioso docente di Storia economica, figura tra gli espulsi decretati dal Consiglio di Facoltà il 14 ottobre 1938. Stessa sorte per Adolfo Ravà che ha la cattedra di diritto privato, Elsa Campos di diritto commerciale e Gustavo Sarfatti di diritto marittimo. Il rettore, Agostino Lanzillo, seppur fascista della prima ora, scrive a Luzzatto: «tutti i colleghi esprimono tristezza, perché ben sanno la tua superiore capacità». Azzarda in pubblico: all’inaugurazione dell’anno accademico ’39-‘40 ricorda il collega con «parole d’affetto e di lode», ma vieta di riportarle nel testo stampato. Luzzatto sopravvive alla guerra e diventa lui stesso Rettore fino al ‘53. Guida la transizione: istituisce una commissione di epurazione dei funzionari fascisti. Lanzillo è indagato, ovviamente, ma non riceve alcuna sanzione, anzi riprende a insegnare. «La parola d’ordine è: voltare rapidamente pagina», spiega Casellato. Nessuno paga, nessuno si spaventa di se stesso.
Altro destino invece per Olga Blumenthal. Lettrice di tedesco, non è nella lista degli espulsi perché lavora come volontaria, ma non può più metterci piede. Muore nel campo di Ravensbrück il 24 febbraio 1945. A lei da ieri è dedicata a Ca’ Foscari una pietra d’inciampo.