Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Uccise a coltellate il padre di due parroci condannato a 16 anni

Marcel Mustata ha confessato: «Sono pentito»

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VENEZIA Aveva già confessato nel corso delle indagini, svolte nel massimo riserbo. Ieri, in videoconfe­renza dalla Corte d’appello romena di Craiova, dove è detenuto per violenza sessuale, il 23enne Marcel Mustata ha ribadito che è stato lui a uccidere a coltellate il 79enne Alberico Cannizzaro la mattina del 2 luglio 2015 nella sua casetta singola di piazzale Radaelli a Marghera. «Sono pentito, ho commesso una cosa grave», ha aggiunto. A quel punto la «battaglia» tra l’accusa, sostenuta dal pm Laura Cameli, e la difesa, con l’avvocato Giorgio Germano Gargano, è stata in punta di diritto, sulla qualificaz­ione giuridica del delitto, che aveva sconvolto la città, visto che Cannizzaro era padre di due parroci mestrini, don Corrado (San Pietro Orseolo) e don Stefano (San Paolo Apostolo).

Il pm aveva chiesto 30 anni, cioè l’ergastolo con lo «sconto» del rito abbreviato, contestand­o il reato di omicidio volontario pluriaggra­vato dalla minorata difesa della vittima e dalla successiva rapina; il gup Massimo Vicinanza, però, ha condiviso la tesi della difesa, secondo cui in realtà il delitto non era avvenuto per rapinare Cannizzaro, ma nasceva da una lite precedente, e solo dopo le coltellate, preso dal panico, Mustata aveva arraffato alcuni gioielli di scarso valore da un portagioie aperto. Il giudice ha ritenuto sussistent­e solo il reato di omicidio aggravato dalla minorata difesa, che è stata azzerata dalle attenuanti generiche, mentre la rapina è stata derubricat­a in furto, con l’assoluzion­e dell’imputato per assenza di querela. La pena finale è stata dunque di 16 anni, mentre non c’è stato alcun risarcimen­to nei confronti dei famigliari, che avevano deciso di non costituirs­i parte civile.

Gli agenti della squadra mobile erano arrivati a Mustata grazie alle impronte digitali lasciate sull’arma e sui mobili e quelle delle scarpe trovate sulla scena del delitto, oltre alle celle telefonich­e. Il giovane aveva infatti alcuni precedenti e viveva in una zona abbandonat­a di Marghera, con altri ragazzini dediti a spaccio di droga, furti e prostituzi­one. Un ambiente degradato, dunque. Quel giorno il giovane era entrato nella casa di Cannizzaro senza effrazioni, tanto che il figlio Corrado, il primo a scoprire il padre in un lago di sangue, aveva trovato tutte le porte e le finestre chiuse. L’omicidio sarebbe dunque avvenuto al termine di una lite o un’aggression­e. Mustata era subito scappato in Romania in preda a una totale follia: la sera dopo l’omicidio aveva stuprato una giovane connaziona­le ed era stato arrestato per violenza sessuale e sequestro di persona, venendo poi condannato a 9 anni e mezzo. L’ordinanza italiana gli era stata notifica proprio in carcere e lui aveva subito confessato l’omicidio, negando però di averlo voluto rapinare. Solo una volta scontata quella pena potrà essere richiesta l’estradizio­ne per portarlo in carcere in Italia. (a. zo.)

 ?? Il delitto di Marghera ?? La casa di Cannizzaro in piazzale Radaelli
Il delitto di Marghera La casa di Cannizzaro in piazzale Radaelli

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