Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Veneto banca, le carte del pm: senza liquidità già a marzo 2017
Venerdì l’udienza al tribunale civile: valutazioni sul filo del rasoio
VENEZIA Veneto Banca era senza liquidità già nel marzo del 2017. Anzi, era in negativo per 156 milioni. È quanto emerge dalle carte della richiesta di accertamento dello stato d’insolvenza , che il pm Massimo De Bortoli ha presentato al tribunale civile di Treviso. Richiesta che il giudice inizierà a discutere a partire dall’udienza convocata per venerdì prossimo.
La liquidità di Veneto Banca? Era in negativo per 156 milioni già al 31 marzo 2017. Il dato emerge dalla richiesta di accertamento dello stato d’insolvenza dell’ex popolare ora in liquidazione, che il pubblico ministero Massimo De Bortoli ha presentato al tribunale civile di Treviso. Richiesta che il giudice delegato, Caterina Passarelli, inizierà a discutere a partire dall’udienza di venerdì prossimo.
La sfilata dei testimoni sarà notevole, visto che il giudice ha convocato i rappresentanti di Bankitalia e ministero dell’Economia, l’ultimo cda di Veneto Banca, a partire dal presidente Massimo Lanza e dell’amministratore delegato Cristiano Carrus, e i tre commissari liquidatori, a cui il giudice ha chiesto di depositare la situazione dei conti al 25 giugno 2017, giorno in cui la banca fu messa in liquidazione. Con loro dovrà stabilire se in quel momento c’erano anche i presupposti per dichiarare lo stato d’insolvenza. Che permetterebbe alla procura di procedere per il reato di bancarotta, aggravando l’inchiesta sul crac.
La procura di Treviso, nelle sette pagine in cui argomenta la sussistenza dello stato d’insolvenza, punta molto sul deficit patrimoniale della banca dalle ispezioni di Banca d’Italia del 2013 in avanti, e riporta ampi stralci della relazione tecnica del consulente della Procura di Roma, Luca Terrinoni, che ricostruisce quegli anni. In più, per la procura, prova dell’insolvenza al 25 di giugno è data dalla mancata capacità di Veneto Banca di pagare un bond subordinato da 150 milioni quattro giorni prima della liquidazione.
Eppure, se l’insolvenza tecnicamente ruota intorno all’impossibilità di far fronte ai pagamenti, il centro della questione è forse la liquidità. E la stessa questione del bond rischia di non essere decisiva, visto che il mancato pagamento avvenne per un decreto del governo. Che doveva sollevare allora gli amministratori dal rischio di esser accusati di bancarotta preferenziale nel cortocircuito del rimborso di un bond subordinato pochi giorni prima di una ricapitalizzazione precauzionale, che ancora si attendeva. Nella quale uno degli elementi-base era azzerare i subordinati. Ma se quello specifico bond non si fosse pagato per evitare quel rischio, la banca sarebbe stata dichiarata insolvente.
Se invece la capacità di pagare viene vista dal punto di vista della liquidità, la questione dell’insolvenza appare come una delicata partita sul filo del rasoio. Il cui esito rischia di pesare non poco sugli ultimi due cda espressione del fondo Atlante che operarono negli ultimi mesi. Perché, ad incrociare i dati delle due richieste d’insolvenza delle procure di Vicenza e Treviso, appare chiaro che a inizio 2017 sia Veneto Banca che Popolare Vicenza hanno finito la liquidità. L’istanza di Treviso fissa che cassa e contante per la clientela è negativa in Veneto Banca per 156 milioni a fine marzo. E a gennaio Popolare Vicenza chiede liquidità di emergenza per pagare un bond da 500 milioni. Il tutto in attesa di bond garantiti dallo Stato per rimettere in piedi la liquidità: a giugno lo Stato ne avrà emessi per 10 miliardi. E il salvataggio di quei bond rispetto ai rischi di cancellazione con la risoluzione dei due istituti, dopo il no dell’Europa al salvataggio, sarà elemento decisivo per la soluzione d’emergenza affidata a Intesa, che doveva evitare la figuraccia di aver bruciato 10 miliardi in due banche alla fine liquidate.
Ma se si prende per buono, come fa la richiesta d’insolvenza di Bpvi,che la richiesta di liquidità d’emergenza è una spia forte d’insolvenza, si tratta di capire a quel punto come sarà interpretato l’intervento-tampone dello Stato. Fondamentale, anche rispetto ai rischi che possono correre i due ultimi cda di Atlante. Ad esempio rispetto al pagamento a inizio maggio dei 400 milioni per le transazioni sulle azioni con i soci, con i rischi di accusa di bancarotta preferenziale per un’operazione avvenuta in una situazione di liquidità in tensione, azzerata e per due volte ricostituita coni bond garantiti dallo Stato.
Ma se si considera la «coperta» stesa dai bond statali in attesa della ricapitalizzazione precauzionale, è chiaro che le due banche sono solvibili. Al punto dal poter procedere al risarcimento dei soci. Lo stato di crisi e di emergenza c’è tutto, tanto che, come si legge nella richiesta d’insolvenza di Bpvi, «già dal marzo la situazione della liquidità e nuovamente precipitata per il timore di procedure di bailin, e ciò ha determinato nuovamente consistenti deflussi di liquidità che hanno costretto l’istituto ad una nuova richiesta di garanzia statale su strumenti finanziari per 2,2 miliardi». Che salvano dall’insolvenza.
Questo navigare a vista termina a fine maggio, quando è chiaro che l’Europa boccia il piano di fusione e che la ricapitalizzazione precauzionale non si farà. A quel punto non resta che attrezzare la soluzione d’emergenza. La Bce dichiara le due banche «a rischio di dissesto»: di lì a poco, senza più soluzioni, non sopravviverebbero. Il documento Bce su Bpvi, citato nella richiesta dei pm, stabilisce che la banca non ha più di un mese di vita. Riproponendo, però così, ancora una volta, anche nel momento più drammatico, la stessa domanda: lo stato d’insolvenza, in quel momento, c’era o no?