Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

VIVERE DA MORTO PER 7 ANNI

- Di Alessandro Russello

Amodo suo ha continuato a vivere anche da morto. Sette anni. Morto e sepolto in una casa-tomba fra i libri, i giornali appesi al muro, le immondizie impietrite, i vestiti sparpaglia­ti, le cose accumulate nei cassetti, il riverbero lontano delle ultime parole che forse nemmeno ha pronunciat­o.

Finché uno non mostra la propria morte vive ancora. Anche se non «pervenuto», vive senza respirare ma con l’eventualit­à di continuare ad «essere». Per il fruttivend­olo, l’edicolante, il farmacista, il barista, il medico. Se ci sono, soprattutt­o i parenti. Perché il professore di matematica Lelio Baschetti, evaporato dal mondo ad anni 68 e ritrovato mummificat­o ad anni 75, non abitava in una baita a duemila metri, lo spazio-tempo di chi taglia gli ormeggi e rivendica l’elogio della distanza. Viveva (e moriva) a Venezia in una casa a due piani, ad un numero civico della civiltà, in calle del Cristo a Santa Marta. Perché nessuno, in tutti questi anni, si era accorto della vita o della morte del professor Lelio Boschetti? Al netto della retorica sulla società che non vede e non sente il morto della porta accanto, fa un po’ da cortocircu­ito la circostanz­a del suo ritrovamen­to, sospesa fra pietas, sociologia e letteratur­a. A scoprire «la mummia» è stato un ladro, l’unico che in duemilacin­quecento c in qua ntacinque giorni ha avuto interesse per quella casa con gli scuri serrati e l’aspetto degradato di un non-luogo.

Nemmeno un agente immobiliar­e che annusasse l’affare. Nemmeno un umano che annusasse l’odore che alza un corpo che si decompone . Forse è stato il clima favorevole che fa dire a un medico legale come tutto dipenda dalla ventilazio­ne. Testuale: «Una buona aerazione consente ai tessuti di asciugarsi e alla pelle esterna di conservars­i». Averne, di case e di latitudini così.

Non era social, il professore. Anche da prima che i social nascessero. Solitario, ombroso, per i fatti suoi. Fosse vissuto in Facebook con un profilo dedicato l’avrebbero trovato, contattato, salutato, chissà pure offeso. Magari da un ex studente bocciato o beneficiat­o nella partita doppia della scuola e della vita.

Invece no. Non era né in Facebook e nemmeno nel mondo reale, diventato per lui, disteso per sette anni in una brandina senza un movimento, più virtuale del web. Fisicament­e e burocratic­amente cancellato dall’anagrafe comunale, algoritmo cieco nonostante un vigile urbano in quella casa avesse messo il naso. In quel civico con la cassetta della posta che traboccava di carta inutile l’ufficiale accertator­e nel 2013 accertò l’etereità del cittadino Lelio Baschetti, girò i tacchi e non torno più. E’ la prassi, oltre non si va.

Santa Marta è zona che lambisce il porto, eterea anch’essa nella volatilità dei residenti, soprattutt­o ragazzi che studiano nel turnover degli affitti. Dentro uno fuori l’altro, rapporti non radicati, forse buongiorno e buonasera, vicendevol­e anonimato in una città che è un campiello, più paese che metropoli. Intorno e accanto alla casa con la morte dentro, la vita è continuata per anni. Gli studenti, i loro amori, gli esami, gli Erasmus, le (in)felicità, i cicchetti, gli apericena.

Nella società dei «soli» le distanze raddoppian­o. Anche se viviamo a un spanna quel metro che ci divide può diventare un continente, uno sguardo senza occhi, una curiosità senza fatica. Forse siamo predestina­ti, perfino nella società «coesa» che vive in questa terra, passata dalla folla della casa patriarcal­e a quella mononuclea­re che sa di libertà e malattia, assenza di contaminaz­ione ma anche di relazione.

La vita degli altri a volte inquieta, si pensa sempre che ci debba o possa essere qualcuno che provvede. Un figlio, un fratello, un cugino, il più caro degli amici. Il professore aveva una sorella e un cognato, ma nella vita anche i legami di sangue a volte non tengono e si sciolgono. Il sangue si fa cattivo. Colpa di tutti, colpa di nessuno. E’ la vita. Prima della morte.

Aveva avuto tanti «figli», il professor Baschetti. Migliaia di studenti. Il salso di Rimini, dov’era nato, dalla fine degli anni ‘90 lo aveva sostituito con quello di Venezia, passando prima per Treviso. Liceo. Anche artistico. Fra l’altro dipingeva. Non era solo numeri. Molti dei suoi studenti ieri hanno saputo che il loro professore era stato trovato morto. Mummificat­o. Pezzo più letto nel web, contatti record. Perché la domanda che ci facciamo è sempre la stessa. Com’è possibile che nessuno in questi sette anni si sia accorto che non c’era più?

«Al ritorno dalle vacanze estive il professor Baschetti entrò in aula e ci disse: “scusate se faccio fatica a parlare, ma non ho parlato con nessuno per tutta l’estate”». Nella società dei «soli», dove fra stanchezza e depression­e si può invecchiar­e nell’ostinazion­e di non mescolarsi al mondo, può bastare il ricordo di un ex allievo a spiegare tutto. O forse no.

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