Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Effetto Amazon, da Mediaworld a Trony: centinaia di posti a rischio
Ieri a Venezia picchetto dei commessi licenziati e vertice in Regione con l’assessore Donazzan
Da sabato i negozi in cui lavoravano sono chiusi e loro sono a casa, senza più posto e stipendio. Così ieri una delegazione dei circa cento commessi dei negozi Trony hanno manifestato a Venezia. «Effetto Amazon ed eBay», spiegano sindacati ed esperti.
Domenica pomeriggio, il momento ideale per andare a caccia del nuovo telefono, dell’impianto hi-fi, della macchina dell’espresso in uno dei numerosi, enormi negozi di elettronica come Mediaworld, Trony o Euronics. O almeno così sembrerebbe vedendo la folla. Peccato, però, che per molti visitatori si tratti solo di una missione esplorativa e che la maggior parte di loro, una volta usciti da lì e tornati a casa, comprino l’oggetto dei desideri su un sito di e-commerce, Amazon e eBay fra tutti. Non stupisce, quindi, la notizia della crisi della grande distribuzione elettronica.
Ultimo a subire il colpo, in ordine di tempo, è uno dei gruppi che possiedono una serie di centri a marchio Trony, Dps, dichiarato fallito giovedì scorso dal tribunale di Milano. La sera successiva, una volta pubblicata la sentenza, i direttori dei negozi hanno provveduto a inviare un messaggio ai circa 500 lavoratori, cento dei quali in Veneto. Un sms stringato con il quale i commessi sono stati informati di non tornare al lavoro l’indomani mattina, visto che il negozio sarebbe rimasto chiuso. E così, dall’oggi al domani, gli addetti dei centri di Albignasego, Conselve e Rubano (Padova), Verona, Zero Branco (Treviso) e Santa Maria di Sala (Venezia) sono rimasti senza lavoro, senza stipendio e senza una misura economica alternativa.
E mentre il senatore Udc Antonio De Poli annunciava un’interrogazione al ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda, ieri mattina i lavoratori che hanno perso il posto hanno manifestato a Venezia, davanti al Palazzo Grandi Stazioni, e hanno incontrato l’assessore regionale al Lavoro, Elena Donazzan. «L’assessore si è detta disponibile a sollecitare il Mise per un tavolo di discussione - racconta Marquidas Moccia, segretaria provinciale Padova di Filcams Cgil - e un incontro con il curatore fallimentare per farci mettere al corrente su manifestazioni di interesse di compratori per i negozi Dps e di sostegni economici ai lavoratori. Ma abbiamo anche fatto un discorso più ampio sulla crisi dell’elettronica di consumo legata all’incapacità dei dirigenti, ma anche alla crescita dell’e-commerce».
E che i due fenomeni, la crisi di catene come Trony o Mediaworld (che un paio di settimane fa ha annunciato tagli in tutta Italia per far fronte ai 17 milioni di debiti) siano collegati, lo ripete anche Donazzan in persona. «Non ci sono dati sulla flessione dell’elettronica di consumo - spiega ma basta vedere l’enorme investimento di Amazon in provincia di Padova per capire quanto gli acquisti on line stiano prendendo piede nel territorio, a tutto discapito della distribuzione in negozio. Anche perché, avendo una tassazione facilitata, possono fare sconti molto appetitosi, sottraendo acquirenti non molto consapevoli».
Ma è davvero la fine dell’elettronica di consumo? «Il problema è che queste grandi catene non sono riuscite a stare al passo dell’e-commerce commenta Romano Cappellari, professore di Marketing all’Università di Padova e direttore del master Cuoa Business School in Retail Management -. Avevano un’arma, il personale. E per far fronte alle perdite dovute all’on line, hanno tagliato proprio qui. Perché diciamo la verità, nonostante gli sconti, i consumatori non preferiscono il web. Loro vorrebbero il contatto umano con un commesso preparato che spieghi il prodotto e che sia in grado di consigliare. Però ormai nei negozi bisogna dare la caccia agli addetti. E così a quel punto tanto vale stare seduti comodi a casa, evitare problemi di parcheggio, leggere anche i commenti degli altri acquirenti e comprare on line».
Ma quindi come fare per arginare una crisi che va avanti ormai da cinque o sei anni? «Per esempio, si può seguire la strada di Apple, l’unica che continua ad aprire negozi continua Cappellari -: propone un’esperienza in cui il cliente è seguito dal commesso. Oppure ridurre gli spazi, come fa Ikea. I vari Trony o Mediaworld a inizio degli anni Novanta hanno soppiantato i piccoli negozi di vicinato con i loro enormi centri. Ma forse bisognerebbe pensare ad ambienti più ridotti, con personale pronto a fornire consulenza, mostrare prodotti, far nascere spunti o idee. Solo così - conclude Cappellari - si può invertire questa parabola discendente».